Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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mercoledì 31 ottobre 2012

Come è meglio morire?

Difficile fare una graduatoria.
Difficile stabilire se sia peggio vedere il proprio caro spegnersi lentamente, con dolore, con mancanza di dignità, oppure se sia peggio vederselo strappare all'improvviso, senza aver avuto modo di accomiatarsi, di darsi un appuntamento di là.
Meglio stringere la mano, essere accanto alla fine di una malattia capace anche di privare della dignità? O meglio vedere in un secondo la vita svanire senza neppure l'ultimo bacio?
Io ho avuto la "fortuna" di provarle entrambe allo stesso momento,  per la stessa morte.
Anni e anni di calvario, con lui tenacemente attaccato alla vita, pochissimi lamenti, senza mai pesarmi, scrupoloso e diligente nel prendere le 28 pastiglie al giorno.  E poi in un attimo, quando i medici gli avevano detto che stava abbastanza bene da poter affrontare il lungo viaggio, morire di colpo, da solo, lontano 12.000 km da me.
Rivedo in continuazione nella mia mente il film dei suoi ultimi giorni. Ricostruisco il puzzle senza sosta. E' marchiato a fuoco nella mia testa, sulla mia pelle.

martedì 30 ottobre 2012

una piccola, minuscola felicità negata

Mi sono addormentata seduta sulla sedia.
E' durato poco. 
Quando mi sono svegliata dal torpore ho avuto un pensiero automatico: "Pablo è già a letto, ora vado anche io",  pregustando il rassicurante ranicchiarmi al calore del suo corpo.
Il pensiero è durato un istante, ma era così vero, così pieno di calore, così confortante.
Un attimo e mi sono ricordata che Pablo era morto. Che non mi poteva aspettare di là in camera.
Perché quell'istante pieno di una piccola, minuscola felicità non può durare il resto della mia vita?
Quante persone stanotte pregusteranno il ranicchiarsi al calore del corpo del proprio compagno senza neppure rendersi conto della loro piccola, minuscola felicità?
Quanti di loro domani notte non avranno più nessuno accanto?

domenica 28 ottobre 2012

Esclusa

Oggi in chiesa c'è stata una specie di cerimonia, non ne ho afferrato bene il motivo, in certi momenti i cervello mi si congela e si estranea alla realtà.
Ma non è importante il motivo, quello che conta è il cosa.
Benedizione di chi festeggiava l'anniversario di matrimonio, mi pare dai 35 anni in avanti.
Erano tutti allegri, felici. Parenti agghindati a festa battevano le mani e scattavano foto.
Io li guardavo.
Hanno il diritto di essere felici, è ovvio.
Ma gli altri? Ci pensa nessuno a come si sentono quelli che non fanno parte della festa perché soli, perché vedovi, perché separati o divorziati?
Per me è stata l'ennesima pugnalata, l'ennesimo rigirarsi del coltello nella piaga.
Vedere quelle persone felici, festeggiate ed io invece avere solo delle foto, dei ricordi, una tomba.
Come si fa a non provare rabbia?
Come si fa a non sentirsi esclusi dalla vita?
Come si fa a non far rotolare giù le lacrime?
Come si fa a non aver desiderio di morire?

venerdì 26 ottobre 2012

complicazioni

Leggendo qui mi sono irritata.
Mi irrita veder banalizzato, incasellato il mio dolore, me stessa.
Comprendo che i medici abbiano necessità di definire e quindi incasellare.
Ma leggere che è necessario un "intervento immediato per impedire complicazioni come il suicidio"
mi irrita.
Il suicidio, il desiderio di scomparire, il desiderio di ricongiungersi all'essere amato scomparso in un altra dimensione, nell'aldilà e considerata una COMPLICAZIONE.
Credo che chi ha scritto questo testo infelice abbia avuto la fortuna di non aver mai provato sulla sua pelle quello che provo io sulla mia.
Complicazione. cosa è una complicazione? Un fastidio nell'efficienza quotidiana, immagino.Un granello di sabbia in un ingranaggio. Qualcosa che non rientra negli schemi.
Quando il dolore ti sovrasta, quando tutto quello che dava un senso alla tua vita non c'è più, quando non hai più speranze, quando non hai più aspettative, quando sai che qui non hai più nulla da fare, quando sai che di là invece ti aspetta qualcosa, qualcuno, che di là ti aspetta di nuovo finalmente la gioia è leggittimo volersene andare.
Si parla del desiderio di andarsene o si parla delle modalità per andarsene?
Volete impedirmi di suicidarmi o volete impedirmi di desiderare di morire?
qual è il vero problema?

Era il non tempo

Sto male da morire.
Finché sono in ufficio funziono più o meno (a volte molto meno) come una persona "normale".
Fuori sono paralizzata.
Ho il cervello gelato. Il cuore gelato.
Il passo si fa lento, lo sguardo perso in qualcosa che non c'è più, che non avrò più.
Il diaframma si irrigidisce, faccio fisicamente fatica a respirare.
Sento la gente intorno a me fare progetti per il weekend. A volte anche solo stupidaggini come andare a far la spesa al supermercato, non grandi progetti. Mi graffiano il cuore, mi inceneriscono il cervello, mi tolgono il fiato.
Ho anche pensato di prendere dei sonniferi per dormire tutto il weekend, per non esserci. Finora non l'ho mai fatto. Ma forse dovrei farlo.
Dormire. Cos'è il sonno se non una blanda imitazione della morte?
Quando ero bambina chiamavo "non tempo" quello passato a dormire. Era il non tempo perché era sprecato, non potevo usarlo per fare le mille cose che volevo fare.
Quanto è lontana da me la gioia per la vita di quella bambina.

giovedì 25 ottobre 2012

Il dolore consuma

Sono spossata.
Spossata dalle lacrime, spossata dal dolore.
Fino a tutto il 23 ho tenuto botta. Dovevo fare qualcosa per Pablo, potevo in qualche modo prendemi cura di lui.
Finito tutto sono crollata. Devastata. Risucchiata. Schiacciata.

martedì 23 ottobre 2012

Buon compleanno amore mio

Il 23 ottobre è il compleanno di Pablo e coincide con l'anniversario della morte di suo fratello.
Non ha mai potuto essere un giorno di piena gioia, era soprattutto  il ricordo della una morte prematura e improvvisa.
In ricordo di Carlos accendevamo una candelina.
Quest'anno l'accenderò da sola. L'accenderò per te e anche per lui, amore mio.

lunedì 22 ottobre 2012

bricolage e lutto

Ho fatto finta di vivere.
Ho comprato uno scaffale e l'ho montato.
Sono crollata alla fine, riponendo il suo avvitatore, la sua borsa dei ferri, guardando quello che aveva fatto lui per capire come avrei dovuto fare io.
Sono crollata, arrabbiata perché non mi insegnava.
Non mi insegnava perché voleva fare lui per me.
Per avere la soddisfazione di fare qualcosa per me.
Arrabbiata,commossa, intenerita, riconoscente e di nuovo arrabbiata, ma con Dio che me lo ha tolto.

Pablo, mi manchi tanto. Non voglio stare qui senza di te. Vienimi a prendere, ti prego.

domenica 21 ottobre 2012

Essere dei sopravvissuti

Superstite, sopravvissuto.
Queste due parole implicano aver sfiorato la morte, aver rischiato di perdere la vita come chi  è morto, ma avere ancora la vita davanti.
Io scivolo fuori da queste parole perchè una parte di me è forzatamente viva, ma la parte più importante è rotta, già morta.
Io rinnovo l'abbonamento a teatro, faccio coraggio a chi è in difficoltà, risolvo problemi sul lavoro, faccio la zia quando ci sono i miei nipoti, perché è il mio "dovere". Perché è giusto che gli altri da me ricevano questo, finché ci sono. Ma non sono attaccata a nulla e a nessuno. Ogni giorno prego perché sia l'ultimo.
Io non ho paura di morire, perché non ho nulla da perdere, ho solo da guadagnare. Quello che dovevo fare qui l'ho fatto, ora sono curiosa di andare di là ,  deve essere un posto dove posso fare/dare/ricevere molto di più che qua adesso.
E soprattutto deve essere un posto dove io possa finalmente ritrovare la gioia, la pace, la serenità che qui ho perso.

Domenica, maledetta domenica

E maledette siano tutte le festività, le ricorrenze, le giornate che si trascorrono con i propri cari. Le giornate dedicate alla famigli, agli amici, agli affetti.
Le giornate in cui si sta con quelli a cui si vuol bene.
Le giornate in cui stare a letto a chiacchierare.
Le giornate in cui uscire insieme.
Le giornate in cui si cucina e si prepara la tavola insieme.
Le giornate in cui si pranza insieme.
Le giornate in cui si fa qualcosa insieme.
Le giornate in cui non si fa nulla, ma lo si fa insieme.

venerdì 19 ottobre 2012

Dolore, disperazione, vuoto


Rewind

Abbiamo avuto momenti felici, momenti belli da ricordare nonostante i disagi, nonostante la malattia.
Rileggevo il blog che scrissi quasi due anni fa, quando andammo di corsa in Argentina, per quello che sembrava essere il suo ultimo viaggio in quella terra.
Rileggevo e sorridevo. Rileggevo e provavo tanta nostalgia.
Vorrei che la vita avesse il tasto rewind. Lo vorrei tanto.

giovedì 18 ottobre 2012

Pioggia e lacrime


suicidio

Non ce la faccio più a stare qui.
Se non fossi codarda, se avessi coraggio mi suiciderei.
Penso a come fare, ma non trovo la soluzione.
Deve essere rapida, indololore e INFALLIBILE.

Potrei buttarmi di sotto dal nono piano, i balconi sono qui a portata di mano. Liliana si è buttata dal secondo, è piombata sul cemento ed è morta mentre suo cugino parlava con il personale della casa di riposo. Lei ha avuto più coraggio, più determinazione di me.
Ma il volo dura un'eternità, potrei avere il tempo di aver paura, o anche solo di pentirmi. Morire con il terrore negli occhi? no. Non è quello che voglio.

Affogare.
Il mare è a portata di mano, potrei nuotare fino a perdere le forze.
Non  lo farei mai perché è tutt'altro che rapido e indolore.
ho fatto il BAL, so cosa vuol dire trovarsi acqua che entra nei polmoni al posto dell'aria. So perfettamente cosa si prova a respirare acqua. E' una sensazione atroce.
No.

Spararmi.
Non ho una pistola e neppure un fucile.
E se anche me li procurassi potrei sbagliare condannandomi a vivere paralizzata. Che beffa sarebbe!

Schiantarmi contro un muro.
Non è rapido, non è indolore e non è certo. E' solo idiota.

Avvelenarmi.
Potrebbe essere una buona idea. Qualcosa di rapido, indolore, efficace credo che esista. Cianuro. Ma puro. Quello nel veleno per topi è tutt'altro che  rapido, indolore.




un nuovo giorno

E'  iniziato un nuovo giorno.
Devo avere la pazienza di aspettare che mi scivoli addosso.

mercoledì 17 ottobre 2012

Perché?

A volte si litiga con Dio.
Gli si urla contro che non c'è giustizia.
Si pretende la giustizia.
Si pretende che ci venga spiegato il Perché.
Perché?
Perché?
Perché?
Perché?
...
Perché?
Domanda infinita senza risposta.
Perché hai fatto morire lui che voleva vivere e invece lasci in vita chi vuole morire?
Perché ti sei accanito tanto contro quella famiglia?
Perché proprio lui?
Perché proprio quando era da solo?
Perché lì?
Perché l'hai martoriato per 12 anni?
Perché ci hai imposto così tante sofferenze?
Perché me lo hai dato per poi togliermelo troppo presto?
Perché devo continuare a stare qui?

Sette mesi e 17 giorni di sofferenza.

Pablo è morto il 29 di febbraio. Da quel giorno la mia vita è cessata.
17 giorni frenetici in Argentina per riportarlo a casa, per separarci dai ricordi della sua famiglia, della sua vita lì. Per dire addio per sempre a quello che erano.
Io unica custode di ciò che rimane. Un peso che mi soffoca.
Poi il secondo funerale in Italia. L'apertura della tomba, il cemento fresco su cui ho scritto io il suo nome e ho disegnato un cuoricino.
Poi la sua casa di Mantova, quella che aveva mantenuto tutti questi anni, ma dove ormai neppure più dormiva quando andava là. Ho dovuto smontare pezzo per pezzo, da sola, quella casa.
Completamente sola a parte due giorni in cui la mia amica  P. mi aveva dato una mano a separare i documenti.
Quintali di documenti di carte che ho letto una per una fino a scremare per conservare, per portare qui con me i ricordi, le cose di lui.
Mi è passata per le mani tutta vita di Pablo. Tutto quello che non avrebbe mai più potuto essere.
Con amore, con infinita tristezza ho preso in mano ciascuna cosa cercandovi dentro Pablo.
Chiudere quella casa il 1 luglio mi ha ucciso. Sono crollata in quel momento.
Nessun essere umano dovrebbe essere chiamato a fare quello che è toccato fare a me.
A nessuno dovrebbe toccare tutta questa infinita sofferenza. Nessuno dovrebbe essere lasciato solo come lo sono io. A nessuno.
 "Se hai bisogno vengo" dicevano, ma alla fine pochissimi e per poco tempo sono venuti. E gli altri dove erano?  Pudore? incapacità di comprendere? pigrizia?
E' vero, io non chiedo. Lo faccio molto raramente
Non aspettate che uno nella mia situazioni vi chiami. Andate voi da lui. siateci davvero, non solo a parole.Siate veramente presenti, non solo a parole. La fisicità è importante. A volte una telefonata è come una mano tesa.

lunedì 15 ottobre 2012

Il mio cimitero privato

Il mio cimitero privato: le foto nello studio di Pablo, le foto della sua famiglia.
Occhi celesti limpidi, ridenti mi guardano da quelle foto. Vispi, intelligenti, allegri quelli del padre, azzurri come il mare che aveva navigato. Dolci, affettuosi, con dentro la fatica della malattia quelli della madre, con ancora un sprazzo della vivacità delle sue foto di ragazza.
I suoi occhi furono la prima cosa che mi colpirono di Pablo, un cielo azzurro come sa esserlo solo quello di un giorno di febbraio che ha dentro la promessa della primavera.
Occhi che guizzavano di allegria. Occhi intelligenti, curiosi. Mi incantarono, mi incuriosirono, mi legarono a lui.
Dio, quanto vorri poterli guardare ancora quegli occhi.
Quanto mi mancano i suoi occhi ridenti.
Lo sguardo sornione che dietro ha un cervello che lavora senza sosta. Di chi osserva acutamente dando l'idea di guardare appena.
Quanto mi mancano quegli occhi azzurri capaci di infinita tenerezza nei miei confronti.

venerdì 12 ottobre 2012

Come stai?

Quando abbracciandoti fuori dalla Chiesa, dopo il funerale, ti dicono "Non perdiamoci vi vista" o anche "Per qualsiasi cosa conta su di me", oppure "Io per te ci sono sempre" sai già esattamente chi di loro scapperà immediatamente il più lontano possibile e non sentirai mai più.

Ci sono anche quelli del "rispetto la tua necessità di isolarti"   che con questa scusa non ci sono mai, specialmente in quelle sere in cui spereresti tanto in una telefonata o anche solo in una mail con un banale "come stai". Rispetto? No dai, diciamo la verità: avere tra i piedi una che non è il ritratto della gioia e della spensieratezza è un po' una palla.

E anche se fai finta di essere normale loro vedeno accanto a te il vuoto lasciato dal morto. E quel vuoto preferiscono non correre il rischio di vederlo. Così ti lasciano sola.

Offrire una spalla per piangere evidentemente è cosa più difficile e faticosa di quanto si creda.
Ferisce  il silenzio, la lontananza, il dileguarsi di quelli su cui credevi di poter contare.

Pesi enormi

In certi momenti il dolore oltre che l'anima invade anche il corpo. Fatico a respirare, ho un macigno sul petto. E' un dolore così intenso da desiderare di vomitare per espellerlo da sé.
Tutto è difficile. Ogni singolo passo diventa pesante, strascicato.Vorrei risveglirmi di là, con Pablo che mi guarda, che mi aspetta.
Faccio fatica a fare qualsiasi cosa. Faccio sforzi sovrumani per riuscire a fare quello che devo. Le urgenze. Ma a volte non riesco a fare nemmeno quelle.

affogare

Mi manca l'aria.
ho dentro talmente tanto dolore da non riuscire a respirare.
Vivir sin aire, infatti.
Tanti anni fa gli chiedevo la traduzione di quisiera
oggi lo sento sulla mia pelle però non posso, sento che muoio senza di te  - non posso vivere seza di te


como quisiera, poder vivir sin aire
como quisiera, poder vivir sin agua
me encantaria, quererte un poco menos
como quisiera, poder vivir sin ti
pero no puedo, siento que muero

me estoy ahogando sin tu amor
como quisiera, poder vivir sin aire
como quisiera calmar mi afliccion
como quisiera poder vivir sin agua
me encantaria robar tu corazon
como pudiera un pez nadar sin agua
como pudiera un ave volar sin alas
como pudiera la flor crecer sin tierra
como quisiera poder vivir sin ti
pero no puedo, siento que muero

me estoy ahogando sin tu amor
como quisiera poder vivir sin aire
como quisiera calmar mi afliccion
como quisiera poder vivir sin agua
me encantaria robar tu corazon
como quisiera lanzarte al olvido
como quisiera guardarte en un cajon
como quisiera borrarte de un soplido
me encantaria matar esta cancion

giovedì 11 ottobre 2012

E in un abbraccio portami via per sempre

Sola in pronto soccorso

E' una giornata difficile.
Ieri al pronto soccorso, attraversando un corridoio con i pazienti sulle barelle ho avuto il flash di tutte le volte che ho visto Pablo in un pronto soccorso sdraiato su una barella.
Ho rivissuto in un istante tutte quelle attese, tutte quelle sofferenze. La pazienza enorme di Pablo, il suo sangue freddo, la sua competenza nel parlare con i medici che di volta in volta lo vedevano. L'incompetenza di alcuni di questi, la loro arroganza, chiusi nelle loro certezze, incapaci di mettersi in dubbio, incapaci di riconoscere che non sapevano. L'umanità e la disponibilità di altri.
La consuetidine con la sofferenza e la morte rende cinici? rende incapaci di vedere l'essere umano che si ha davanti? Talvolta, o forse molto spesso.

Ieri in quel pronto soccorso, da sola, c'ero per me.
E quell'essere lì da sola, ieri, come anche anche oggi, mi ha schiacciata.
Sola. Ero lì per un intervento. Pablo mi avrebbe sicuramente accompagnata, accudita, tenuta d'occhio. Premuroso.
Non può più accompagnarmi, non può più prendersi cura di me.
Non c'è più.
Oggi ho guardato molti album di foto, ho pianto. Sto piangendo.
Pablo non è più accanto a me, non scherza più con me. Non fa più il cretino per me. Mi guarda sorridente dalle cornici con cui sto riempiendo la casa. Ma non potrà più abbracciarmi. Non potrò mai più sedermi al posto del passeggero con lui alla guida.
Mi ha lasciata sola. Irrimediabilmente.
Voglio andare da lui.
Non ce la faccio a stare da questa parte, da sola.

mercoledì 10 ottobre 2012

Le tombe adornate

Vedere dei giochini adagiati sopra una tomba mi fa sempre stringere il cuore.
Non sono poche queste piccole tombe adornate. La maggior parte ha date recentissime.
Quelle più vecchie mi raggelano. Giovani genitori che rimangono attaccati a un bambino che quei giochi non li ha mai toccati. Attaccati in una maniera così dolente da impietosirmi.
C'è la tomba di una giovane ragazza di 26 anni trasformata nel giardino di casa, con gli scacciapensieri attaccati ai rami più bassi degli alberi e le statuine tra le piante.
C'è quella di un diciassettenne amante del mare tutta in un marmo celeste che ricorda le onde del mare.
Con Pablo guardavamo sempre con triste affetto la tomba di questo ragazzo sconosciuto, il nostro pensiero andava a quella madre che ormai da molti anni cambiava con ostinato tempismo la foto sulla tomba, adattandola alle stagioni.
Le scritte disperate con cui i compagni di scuola avevano imbrattato i marmi circostanti sono ormai sbiadite nel tempo, la disperazione espressa da quelle frasi si sarà sicuramente dissipata, mentre il dolore tenace di quella madre non è mai sbiadito. Lei è sempre stata lì ad accudire quel figlio che non c'è più, attenta a cambiare le foto e a pulire la tomba così come quando tirava fuori i maglioni invernali e rifaceva il letto del suo ragazzo. Un amore che va oltre la morte.

Il caso ha voluto che anni dopo, la tomba in cui è stata deposta Liliana fosse quasi di fronte alla tomba azzurra.
Il caso? no quacosa che va oltre il caso.
Liliana, che amava il mare sopra ogni cosa, ora ha di fronte il mare di marmo.
Chissà, magari lo conosceva quel ragazzo, magari sapeva la sua storia.
Ma la tomba di Liliana non ha visitatori affettuosi, non ci sono lumi, non ci sono fiori.
L'ultima volta ho portato io un mazzo di rose gialle, non potevo vederla così dimenticata.
Lei forse avrebbe apprezzato di più un frammento di scoglio, una conchiglia.
Riposa in pace Liliana, finalmente in pace.

Nero


martedì 9 ottobre 2012

Facebook e il lutto

Ho sempre detestato Facebook, lo ritenevo una inutile perdita di tempo.Un non-luogo per chi non ha nulla di meglio da fare. Un occhio spione sulla vita privata. Mi facevo un punto di orgoglio di non esserci dentro.
Con la morte di Pablo mi son dovuta ricredere.
Quando lui è morto, mentre io partivo dall'Italia,  è stato lo strumento che ha consentito ai suoi amici di avvisare rapidamente il maggior numero possibile di persone in tutti i continenti .
Poi l'ho usato io per contattare i suoi amici di cui non trovavo i recapiti e dare loro le informazioni sul funerale in Argentina e su quello in Italia.
Ma soprattutto è stato il sorprendente mezzo per ricevero un numero enorme di testimonianze di affetto per la scomparsa di Pablo.
Mi ricordo la sera che Gonzalo mi ha mostrato la lista dei messaggi di cordoglio e di partecipazione. Una lista che non finiva mai di messaggi sinceri, commoventi, toccanti, scritti di getto con il cuore. E' stato in quel momento che ho rivalutato lo strumento e che ho deciso di usarlo per rimanere in contatto con tutti gli amici di Pablo. Amici veri, in carne ed ossa, molti dei quali dall'altra parte dell'oceano. Non semplici contatti raccattati per fare numero.
Facebook è come il coltello: puoi usarlo per tagliare il pane o per uccidere un uomo, dipende solo da te farne uno strumento utile o inutile.
Non ho un mio account, sto volutamente continuando ad usare quello di Pablo. Tanti suoi amici mi hanno chiesto di mantenerlo, di non distruggerlo. Per noi tutti è un po' come se Pablo fosse ancora dietro al suo portatile. Non faccio finta di essere lui, non lo sono, dichiaro sempre subito di essere io.
Ma vedere il suo nome e la sua foto è una piccola consolazione per tutti, è tenerne vivo il ricordo.

Solidarietà

Mi son capitati sotto gli occhi i post di incoraggiamento che gli amici di Pablo mi hanno scritto il giorno che ho chiuso la casa di Mantova.
C'è dentro tutta la mia angoscia, c'è dentro tutto il loro affetto, la loro impotenza nell'essere lontani, il loro affetto per Pablo e per me.
Ho gli occhi pieni di lacrime.

lunedì 8 ottobre 2012

Mangiare in piedi come i cavalli

E' lunedì. Esco dal torpore, dal silenzio di un fine settimana segnato, come tutti gli altri,  dalla mancanza assordante di Pablo , dalla solitudine, dal silenzio, dalla rabbia e dal dolore.
E torno a far finta di vivere. Devo farlo, dato che lavoro in un ufficio.
Il lavoro. Per fortuna che c'è il lavoro che mi obbliga ad alzarmi dal letto, a lavarmi e a vestirmi, a  uscire di casa.  Per fortuna che c'è il lavoro che mi obbliga  a  relazionarmi con le altre persone, che mi obbliga a pensare ad altro, che mi obbliga a mangiare seduta a tavola un pasto decente, caldo e completo in compagnia di altre persone. Forse gli altri neppure si rendono conto di quanto è importante per me mangiare seduta a un tavolo in loro compagnia.
Alessandra, una mia amica di tanti anni fa mi raccontava che a casa non si sedeva più per mangiare. "Mangio in piedi come i cavalli" mi disse con una saetta che le attraversò lo sguardo. Era rimasta vedova a 34 anni, anche lei, come me, senza figli.
All'epoca mi parve una cosa assurda. Ora la capisco bene, fin troppo bene.
Rimango in ufficio il più a lungo possibile. Rimando più che posso il ritorno in una casa vuota, silenziosa.
Ma alla fine devo tornarci, alla fine devo fare i conti con il vuoto che ho dentro e con quello che ho intorno.

Dio, ti prego fammi morire ADESSO, ti prego.

L'ala nera della morte

Dio si è accanito contro la famiglia di Pablo
Sono morti tutti. Una famiglia sterminata nel giro di pochi anni.
Tre figli maschi, tutti e tre morti. A 2 anni, a 31 anni e a 48 anni.

Un destino di morte.
E io adesso mi trovo unica depositaria dei ricordi di quella famiglia.
Un peso terribile da cui mi sento schiacciata.
Pablo  è stato l'ultimo della sua famiglia, e anche lui è stato schiacciato dal peso di essere l'ultimo.
Ho dentro tanta rabbia per questo. Dove è la giustizia divina in tutto questo?

domenica 7 ottobre 2012

Il lutto altrui infastidisce


Come dice una mia collega: "la mezz'ora di pietà è finita".
Manca la capacità di cordoglio. Non c'è più.

Nella società contadina c'era la condivisione, la compartecipazione del dolore.
Le veglie funebri che ci capita di vedere in qualche vecchio film adesso ci fanno sorridere. Cerchiamo di irridere quello che non siamo in grado di capire.
Il lutto da manifestazione condivisa ( ricordate le prefiche?) è sempre più relegato a manifestazione privata. E meglio se di breve durata.
Abbiamo creato una società che ha paura della morte, che fa di tutto per sembrare giovane, lontana dalla morte. Una società che non è più capace di guardare con serenità e accettazione alla morte.
Accettazione del fatto che è normale morire, che dobbiamo farci i conti.
Io so di dare fastidio con il mio dolore. So di mettere a disagio.
Come mi diceva l'altro giorno un "collega di lutto", un ragazzo rimasto vedovo da poco,  giovanissimo: "ti invitano, ma loro sono a disagio, sei "il vedovo", di che ti parlano?"
Un altro "collega di lutto" un signore anziano la cui moglie è morta da qualche anno, mi diceva "con gli amici non posso più parlarne, non posso più parlarne con nessuno, se non qui con voi"
Il lutto infastidisce. Le persone che soffrono per il lutto infastidiscono. Non sanno come gestirci, non sanno di che parlarci. Ricordiamo loro la caducità della vita, la vacuità delle cose per cui si affannano, siamo l'evidenziatore del loro rincorrere valori inutili.
Meglio evitarci.
Ho preparato degli album con le foto di Pablo Credevo che sarebbero stati guardati con interesse, con affetto. Sono l'unica, o quasi, a voler guardare quelle foto.
La vita va avanti, Pablo non ne fa più parte, inutile soffermarsi su quelle foto. Deve essere questo il loro pensiero.
E a me fa male perché io ho un disperato bisogno di condividerlo, di parlare di lui, di sentirne parlare.
Anche i suoi cugini glissano, cercano di sfuggire il parlarne.
E io imperterrita a ogni ricorrenza mensile della sua morte lo ricordo sul suo FB. Posto foto, posto ricordi.
Ho un disperato bisogno di mantenerlo vivo. Vivo almeno nel ricordo.


Non ho più risorse.

Là fuori il mondo va avanti, come è giusto che sia.
Io mi sono fermata.
La mia vita si è spezzata il 29 febbraio, quando una telefonata mi diceva che Pablo era morto.
Ho fatto e sto ancora oggi facendo tutto quello che devo fare per lui.
Ho chiuso da sola la sua casa di Mantova. Ho chiuso ciò che restava della sua famiglia in Argentina.
Non riesco a toccare le sue cose qui nella casa dove vivevamo insieme.
Sono crollata con la chiusura della casa di Mantova.
Non ho più risorse.
Piango e prego Dio di farmi morire adesso. Non ho più speranze, non ho più aspettative.
La morte è l'unica liberazione possibile da tutto questo dolore.

Cosa sto qui a fare?

Mi sono addormentata seduta al tavolo di cucina.
Non è la prima volta.
Da quando è morto Pablo raramente faccio la spesa. Ho smesso di cucinare, mangio come capita. Di fame non muoio: durante la settimana faccio a mezzogiorno un pasto regolare in mensa.
Se non ci fosse il lavoro oltre a non mangiar non mi laverei e non mi vestirei tutti i giorni.
Probabilmente neppure mi alzerei dal letto.
Durante le ferie ho passato giorni interi a fissare il soffitto della camera.

sabato 6 ottobre 2012

Vienimi a prendere


Frammenti

Oggi ho chiesto ai suoi amici di mandarmi un aneddoto, un ricordo di Pablo
Sono iniziate ad arrivare le risposte.
Frammenti, minuscoli frammenti di un enorme mosaico.
Rido e piango leggendoli.
Rido perchè Pablo era la mia parte allegra, scherzosa. Certe storie sono davvero buffe.
Piango perché non potrò più avere nulla del genere con lui.
Piango perché mi è stato strappato a soli 48 anni.

suicidarsi?

Sto così male che vorrei solo morire.
Se non fossi codarda mi suiciderei.
Per ammazzarsi ci vuole coraggio, e io non ce l'ho.
Non ho paura della morte, non ho più nulla da perdere.
Teme la morte chi è attaccato alla vita. Io qui non ho più nulla da fare, ho fretta di andare di là.

Perchè?

Cosa è questo? un posto per il mio dolore, un posto per la mia rabbia.
Di solito piango, urlo, mi dispero nel bozzolo protettivo della mia macchina.

La macchina come non luogo. Il motore, le ruote danno la possibilità di scappare.
Scappare da sè. Scappare dal dolore.
Ma non c'è scampo.
Sono qui per aver la possibilità di dar voce a quello che mi soffoca.