Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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venerdì 30 novembre 2012

Cardio 2

Scivolo nella voragine dei sentimenti che è il fine settimana.
Faccio finta di non pensarci, confondo il venerdì con il giovedì.
Faccio finta di nulla, come se non guardandolo in faccia il fine settimana non potesse entrare dalla porta, con tutto il suo carico di solitudine, disperazione, dolore, apatia.
Ma la resa dei conti è inevitabile, arriva quando chiudo quella porta.
Aprendo l'armadio alla ricerca di un gilet di pile (ho freddo) mi vengono tra le mani tre magliette nuove, mai messe. Gliele avevo comprate per l'ospedale, infatti sono ancora piegate e insacchettate, pronte per il prossimo ricovero.
Prossimo.
Non ci saranno più ricoveri per Pablo, quelle magliette non le indosserà mai più.
Così come i due pigiami abbottonati davanti, per il trapianto.
Volli io che li comprasse, lui nicchiava. Lo volli per non dover correre a cercarli nei negozi, perché potesse provarseli e sceglierli.
Non ha fatto in tempo, non è arrivato al trapianto.
E' morto.
Morto.
Non hanno fatto in tempo a chiamarlo

mercoledì 28 novembre 2012

La domanda mai posta

mentre sono seduta su quelle scomode seggioline da scuola, guardo le persone sedute in cerchio accanto a me e confronto il mio lutto con il loro, il mio stare con il loro stare.
Avrei tanto bisogno di trovare una situazione analoga alla mia per potermici rapportare.
Ma chi ha perso il marito ha ancora i genitori, oppure ha i figli, oppure è parecchio più giovane di me e quindi ha aspettative ben diverse dalle mie.
La domanda che vorrei fare è "Ma voi desiderate morire tanto quanto lo desidero io? Lo avete mai desiderato davvero?"
Non la faccio perché non ho voglia di sorbirmi le lezioncine di O.
Ma è forse una delle poche cose che vorrei davvero sapere.
Non la faccio perché forse dentro di me conosco già la risposta: nessuno di loro è davvero pronto a morire.
Vogliono vivere.
Chi ha figli da crescere.
Chi ha genitori di cui prendersi cura.
Chi ha sé stesso di cui prendersi cura.
Hanno ragione loro, ma io non ho più voglia di niente.

nuovi compagni

Ieri sera mi hanno colpito due persone, o meglio le loro situazioni.
Entrambe hanno un nuovo compagno. Sicuramente una di queste due è una nuova convivenza.
Eppure continuano a venire.
Perché?
Perché si viene a questo gruppo?
Perché si sta male per un lutto che ci ha devastato la vita.
Ma se si è riusciti a proseguire a vivere tanto da riuscire ad accettare anche solo l'idea di un nuovo compagno, di qualcuno che ha preso il posto di chi è morto, questo non vuol forse dire che si è andati oltre? non vuol forse dire che si è ripreso a vivere?
E se si è ripreso a vivere questo non vuole forse dire che si è in qualche modo richiusa la ferita?
Se la ferita è richiusa perché si sente la necessità di non lasciare il gruppo?
Me lo chiedo soprattutto per il caso della ragazza più giovane.

O forse il dolore non smette mai di essere presente?
Ma se non smette mai come si fa ad accettare la presenza di un ... usurpatore?
Ho la testa piena di domande, anche se sono realmente felice per queste due persone. Credo di essermi illuminata quado quella più giovane raccontava del nuovo compagno. Mi sono illuminata per lei, perché a 30 anni non può aver vissuto tutto quello che ho avuto invece io, ed è giusto che lo abbia. A 30 anni si ha ancora la vita davanti e non si dovrebbe venire trafitti dal lutto.

Beghe da cortile

Ieri sera al gruppo mi sono innervosita. Non sopporto più che si debba dedicare un sesto del tempo alle loro beghe personali di piccolo potere.
Credo che neppure abbiano afferrato il mio sarcasmo quando ho invitatato a mettere il vivavoce in modo che la riunione fosse condivisa.
Ho avuto voglia di alzarmi e andarmene. E forse avrei fatto bene a farlo.
Non l'ho fatto perché mi sono accorta di aspettare il martedì come una valvola di sfogo al mio malessere. Anche se poi non dico quasi nulla di quello che sento.
Probabilmente mi sento fuori posto anche lì. Anche se un po' meno che in altri contesti.
Era stato lanciato un tema intelligente "l'avvicinarsi del Natale". Ma non è stato affrontato davvero. Tutto è stato limitato a dei ricordi.
Ma i ricordi sono proprio la cosa che fa male.
Si è persa un altra occasione.
O. ha tanta buona vuolontà, ma è inadeguata al ruolo che si è scelta.
Onore al merito, alla buona volontà e all'impegno, ma le manca il carisma di guida e soffre troppo quello di G. che velatamente contesta tutte le volte che è assente. Non per l'assenza, ma per la presenza.

Ed ecco che senza accorgermene mi sono fatta invischiare nelle loro beghe da cortile. Proprio quello che non volevo. Questo post termina qui.

lunedì 26 novembre 2012

Le altre famiglie

Ci sono delle famiglie in cui la gente muore per vecchiaia.
Ci sono delle famiglie in cui la gente non vede l'ora che il marito o la moglie muoiano.
Ci sono famiglie dove i lutti scivolano addosso come acqua sul dorso di una papera.

Perché io faccio parte delle altre famiglie?

domenica 25 novembre 2012

Le sue cose

Uno degli aspetti peggiori del lutto stretto, dopo il dolore per la mancanza della persona, è il dover disporre delle sue cose. All'improvviso tutto quello che era personale intimo è alla mercé di occhi e di mani che non sono più quelli del proprietario.
Quello che era stato conservato perché aveva un valore, un significato implicito appare come un oggetto senza senso, senza senso agli occhi altrui.
Al dolore si somma il sentimento di violazione, di essere un intrusa mio malgrado.
E infatti io ancora non posso toccare le cose nello studio di Pablo. Ci sono cassetti che non ho potuto guardare, scatole che apro e poi immediatamente richiudo.
Ho dato via i vestiti in Argentina e a Mantova. Qui non ce l'ho fatta, qui è tutto come se lui dovesse ritornare da uno dei suoi lunghi viaggi al di là dell'oceano. La sua tastiera, il suo monitor sono dove erano quando è partito. Solo le sue medicine sono riuscita a regalare, borse intere piene di farmaci.
Nessuno dovrebbe provare quello che ho provato, che sto provando io. Nessuno.

Sola, triste e abbandonata

Arriva sul mio BlackBerry una notifica dal Facebook di Pablo: notizie dalle vite dei suoi amici, vite che vanno avanti, mentre quella di Pablo si è fermata per sempre.
Mi sento tanto fuori posto qui. Mi sento fuori posto in questo mondo. Non c'è più un luogo qui per me, non ho più una casa.
Oh sì, certo, la casa di mattoni c'è, quella non è crollata. È crollata la casa dell'anima, la casa del cuore. Quella casa si è sgretolata il 29 febbraio 2012.
Credo che Pablo neppure immaginasse cosa avrebbe voluto dire la sua morte per me. Non penso che immaginasse il baratro in cui mi ha fatto precipitare.
Io non ho mai temuto la mia morte, ho invece sempre temuto la morte di chi mi è caro, di chi mi stava accanto.
L'ho sempre detto "voglio morire io per prima", ma non sono stata ascoltata.
Forse non è casuale questo. Credo che Pablo sarebbe stato ancora peggio di come sto io. Lui non voleva neppure pensarmi morta. Io rimandavo al mittente lo spam cartaceo scrivendo sulle buste, accanto al mio nome, "deceduta". A me non faceva né caldo, né frdddo. Lui non poteva vedermelo scrivere.
Quanto mi manca. Quanto mi sento sola, triste e abbandonata.

sabato 24 novembre 2012

sinusoide

Sono su una sinusoide.
Adesso di nuovo non riesco a dormire.
Sono inquieta, arrabbiata, stufa e allo stesso tempo apatica.
Tocco le sue cose nell'armadio e sento stilettate all'anima.
Guardo le foto e mi sento sola.
Rileggo appunti buttati giù in fretta per la paura di poter dimenticare qualche dettaglio della nostra vita insieme, di quello che mi raccontava della sua infanzia. Sorrido perché abbiamo avuto momenti veramente belli, ma subito dopo arriva la disperazione perché di quei momenti non potrò più averne.

venerdì 23 novembre 2012

non prendiamoci in giro: non c'è più

"Devi pensar che lui c'è ancora" e la mia pazienza, che oramai è veramente poca, è scappata del tutto, e sono sbottata: "ma non prendiamoci in giro: non c'è più!"
Ma come si fa a raccontare panzane come "lui c'è ancora" quando si sa che c'è solo un mucchietto di cenere? quando non senti più il calore del suo corpo, l'odore della sua pelle, il suono della sua voce, il sapore dei suoi baci, quando non puoi più vedere l'azzurro dei suoi occhi?
Ma andatelo a raccontare a chi vi dà retta, non venitelo a raccontare a me, porca miseria, a me che non posso più condividere nulla con lui, che non posso più appoggiarmi a lui, che non posso più prendermi cura di lui.
Io  rivoglio quello che avevo, che gli altri hanno ancora e che io non ho più.
Non vi racconto che è tutto finito con la morte, che tutto finisce con la morte. Non ve lo racconto perché non è vero, io lo so che c'è altro, che c'è ben altro. Lo so bene, tanto che io voglio andarci  in questo altro. Voglio andarci subito.
 Ma siccome per il momento il mio desiderio non viene esaudito e mi tocca stare qui, reclamo il mio diritto di non sentirmi dire che c'è ancora, perché qui io sono terrena e qui lo rivoglio nella sua dimensione terrena.
Quanto mi mancano i suoi occhi azzurri, quanto mi mancano...

martedì 20 novembre 2012

Anniversario

oggi è l'anniversario della morte di Babbo.
L'ho stampata nel cervello quella mattina nella cucina di nonna.
La sveglia non aveva suonato, mi ero svegliata da sola e mi ero accorta che era tardissimo, facevamo tardi a scuola.
Mi alzai di corsa infilandomi la vestaglia verde scuro e blu, la casa di nonna non aveva riscaldamento, si passava dal polo nord delle camere all'equatore della cucina dove regnava la cucina economica.
Correndo attraversai la camera dove dormiva mio fratello, gridandogli di svegliarsi. Anche lui saltò giù dal letto e iniziò a corrermi dietro, verso la cucina.
Mentre stavo per spalancare la porta gridavo "in bagno ci vado prima io".
E' assurdo come delle frasi così banali possano stamparsi in maniera indelebile nella memoria.

Mentre dicevo così, aprivo la porta della grande cucina di nonna. Il caldo mi venne incontro, abbracciandomi.
Vidi mia mamma, ne fui contenta, ma la contentezza durò un attimo. Da mesi mia mamma viveva nella camera di ospedale di mio babbo.
Durò un attimo perché vidi anche Zio Lucio e Piero. Rimasi perplessa "Chi c'è con babbo?" chiesi.
E mentre lo dicevo capii vedendo le loro facce.
Babbo era morto.
Il mondo, il nostro mondo era crollato.
Mi ricordo quei momenti attimo per attimo. A distanza di 40 anni.
Non ne ho mai dimenticato nessuno di quei momenti, di quei giorni.
I primo funerale della mia vita, il primo funerale al quale assistetti, fu quello di mio babbo. Morto a soli 48 anni. Esattamente la stessa età di Pablo.

il non detto, in non fatto

Stanotte non riuscivo a dormire.
Continuavo a pensare a quello che non gli avevo detto, ai gesti che non avevo fatto perché pensavo che avevo davanti tutto il tempo per dire e per fare.

sabato 17 novembre 2012

Un altro sabato

Sono stata fuori tutto il giorno, fino a stordirmi. Io che odio il rumore e la folla, che odio lo shopping e le vetrine.
Pur di stare lontana da questo vuoto, da questa assenza mi sono stordita fino ad esserne sfinita.
Quando finirà tutto questo?
Quando finirà questo nodo alla gola?
Quando finirà il mio vivere nonostante me?
Nei negozi gli addobbi natalizi mi artigliavano il cuore.
Proposte di idee regalo dappertutto. Non le sopportavo avrei volutoro gridare, afferrare per la giacca e scuotere, scuotere, scuotere...
Idee regalo a ME che non ho più il destinatario del regalo più importante del Natale?
Decorazioni natalizie per la casa a ME che non più una casa per la mia anima?
Dolcetti natalizi a ME che non ho più con chi condividerli?
Natale a me che sono morta dentro?


domenica 11 novembre 2012

viaggiare leggeri

Perché una persona muore prima di un'altra?
Perché una persona più giovane muore prima di una più vecchia?
Perché tutto quello che fino ad un attimo prima era importante, indispensabile, all'improvviso si affloscia perdendo qualsiasi senso?
Abbiamo una data di scadenza impressa nei nostri geni?
In quale momento i numeri di quella data smettono di girare e si fermano determinando quella che sarà la data della morte?
Quali cose avrebbe fatto Pablo se avesse saputo che sarebbe morto a 48 anni, 4 mesi e sei giorni?
Quali non avrebbe fatto?
Sicuramente non mi avrebbe scritto quel bigliettino con la promessa di tornare.
Non avrebbe portato via il quaderno del lavoro.
Mi avrebbe salutata, mi avrebbe rassicurata.

Cosa farei se io sapessi di morire tra una settimana?
  • Distruggerei tutto quello di personale ho in ufficio
  • Distruggerei le lettere della mia terza vita
  • lascerei le chiavi e le istruzioni pratiche per chi deve gestire la mia morte e il post mortem
  • cercherei di chiudere le pendenze più importanti e allo stesso tempo lasciare istruzioni chiare e semplici
  • saluterei le persone a cui tengo, per lasciare loro il più possibile un ricordo sereno
  • farei la pace con me stessa per tutto quello che non sono stata capace di fare
  • mi accomiaterei mentalmente dai luoghi e dalle cose
Quando parto per un viaggi impazzisco a prevedere cosa potrebbe servirmi. Lo stress causato dai bagagli, dalla scelta del bagaglio è sempre più grosso. La necessita di documentarmi è imperativa e mi sento inadeguata se non ho studiato abbastanza.

Questo ultimo viaggio non sarebbe stressante, sarebbe invece pieno di leggerezza, di gioia.
Non c'è bisogno di nessun bagaglio, non c'è bisogno di studiare.
Al contrario, bisogna partire leggeri e con la mente sgombra, con il cuore aperto.
Spogliarsi, lasciare le borse, lasciare i fardelli.
Osservare, solo osservare per far penetrare la Luce in sé.
Aprirsi per lasciar fluire la Luce.
Non serve niente altro. Ogni cosa sarebbe solo di impaccio.
Sono pronta


sabato 10 novembre 2012

perché parli di anni?


la vita inutile

cosa cavolo sto a fare a questo mondo?
non ne posso più.
speriamo finisca presto, non ne posso più, non ne posso più.

Le unghie non agguantano l vetro

Ci risiamo, come in una sinusoide, implacabile arriva il week end.
Ogni volta è sempre peggio della volta precedente.
Durante la settimana, aggrappata con le unghie e con i denti al mio lavoro, ce la faccio a far passare i minuti, le ore, come se fossi una persona più o meno normale.
Al sabato le mie unghie non agguantano più nulla, precipito su una superficie di vetro.
Questa casa è peggio di una tomba. Ogni luogo in questi momenti per me è peggio di una tomba.
Sono morta il 29 febbraio, ma sono obbligata a a far finta di essere viva.
Non ce la faccio più.
Non ce la faccio più.
Non ce la faccio più.
Non ce la faccio più.

venerdì 9 novembre 2012

Il parcheggio

Silenzio.
In ufficio c'è improvvisamente silenzio.
E' venerdì, sono scappati tutti verso i loro impegni, verso le loro  famiglie, verso le loro vacanze, verso le loro case. Verso il loro agognato week end.
Sono scappati con lo stesso spirito allegro con cui i bambini sciamano fuori dalla scuola.
Come i bambini infatti hanno delle aspettative, hanno un futuro davanti e vogliono viverlo.
Io sola sono rimasta qui. Come sempre. Come tutte le sere che lentamente sfumano nella notte.
Cerco di trascinare il più a lungo possibile il mio stare qui, per sfuggire al silenzio dell'assenza.
Luogo neutro, luogo che non mi ricorda Pablo, che non mi sbatte in faccia la sua assenza.
E' una fuga. E' un non vivere.
E' il mio attendere impaziente, ostinata che Pablo possa finalmente venirmi a prendere.
Io aspetto di morire. Lo aspetto come una liberazione.
Io qui ho finito il mio percorso, ne ho un altro da fare, e non è qui. E sono impaziente di iniziare il nuovo viaggio, la nuova vita nell'aldilà.
Qui sono solo parcheggiata.
Nessuno accetta questo. Nessuno è capace di comprendere quello che dico. Nessuno è capace di accettare che ci sia un altrove verso il quale anelo andare.
Tutti nel giudicare si affidano al proprio modo di sentire, e siccome tutti hanno paura di morire, tutti sono attaccati alla loro vita terrena, non riescono a capire la mia posizione e mi danno sulla voce.
Inizio a detestare quelli che mi dicono "non devi dirlo", "non devi pensarlo", "ti riprenderai", "devi reagire"...
Reagire.
Accidenti se ho reagito!

giovedì 8 novembre 2012

rabbia, dignità e morte

Martedì O. ha detto che il suo compito è darci speranza.
G. le ha risposto che lui non era lì per quello, lui non stava cercando di ricostruire la sua speranza.
Mi ritrovo molto nei sentimenti di G. Nella sua rabbia. Quel ragazzo è saturo di rabbia. Ma non credo che desideri di morire, come invece lo desidero io.
Non ho capito se si sia rassegnato a dover vivere non ostante tutto.
La sua rabbia è caricata anche dalla sua giovinezza e dal calvario di A.
Il calvario di Pablo non è stato devastante al punto di togliergli la dignità. A lui questo è stato risparmiato. E di questo ne sono grata, lo riconosco.
So perfettamente cosa avrebbe voluto dire per lui perdere la dignità.
Penso in continuazione ai suoi ultimi momenti.
Momenti o ore? Per quanto tempo sarà stato vigile, conscio di star morendo.? Questo mi martella nella mente. Questo pretendo di saperlo. Non so come, ma deve dirmelo.
Si sarà reso conto? Avrà evitato di chiedere aiuto per non rischiare di ritrovarsi vivo, ma menomato?
Non vedo l'ora di andare di là per avere tutte queste risposte, e tante altre.
Non vedo l'ora di andare di là.
"Zia , domani sera mi chiami?" Perché d'un tratto vuole che le telefoni tutti i giorni? Cosa percepisce?

Non ne posso più.

Non ne posso più delle frasi idiote.
Non ne posso più di chi mi dice "sei ancora giovane, ti rifarai una vita".
Vorrei vomitargli in faccia la mia non voglia di rifarmi una vita, la mia voglia di morire.
Vorrei mettere a martellate dentro quelle teste che io non voglio più vivere, io non ho più nulla per cui vivere.
Vorrei che galleggiassero per qualche momento anche loro nella melma in cui mi dibatto io dal 29 febbraio.
Non vado cercando false speranze.
Non vado cercando di lenire il mio dolore.
C'è.
Questo dolore, questa rabbia, questa mancanza ci sono. Ci sono in ogni istante della mia vita, in ogni cellula del mio organismo.
Ci sono e ci dovrò convivere fino alla mia morte.
Non fuggo da questo, non anelo di tornare alla mia vita di prima. Non c'è più. E' stata distrutta in una attimo da una telefonata il 29 febbraio.
Non potrà più esserci.
Serve a loro illudersi che possa esserci un mio ritorno a una normalità.
Serve a tranquillizzarli.
Serve a far vivere loro la loro vita.
Non serve a me.
Io sono già morta.

domenica 4 novembre 2012

La Taverna dei Gabbiani

In questi giorni ho fatto la spola con il cimitero,  raramente sono da queste parti. Raramente ho la possibilità di andarci.
E quando sono qui il richiamo è forte. Ho bisogno di stare accanto a quella tomba.
Tutta la mia vita ormai è lì.
Oggi camminavo fino a stordirmi. Camminavo senza meta. E avevo continui flash di Pablo. Cose che mi aveva detto, cose che avevamo fatto, espressioni buffe, ospedali, pronto soccorsi.
Son finita davanti alla Taverna dei gabbiani, mi sono paralizzata, vedevo me e lui seduti al solito tavolo, la sera, a mangiare e chiacchierare. Era assurdamente reale, li guardavo, guardavo lui e me seduti, contenti.
Non avevamo grandi esigenze, eravamo contenti con poco. E  quel poco ci è stato tolto. Non ho più nulla.
Sono infuriata, sono distrutta.

giovedì 1 novembre 2012

canali aperti, canali chiusi

"Sono andato avanti a preparare la casa"

un attimo, per un solo istante si apre un canale che non ti aspetti, che neppure cerchi in quel momento.
Così chiaramente è successo solo due volte.
Vorrei avere la manopola della sintonizzazione.
Rimango in attesa. Curiosa e speranzosa. L'unica cosa per cui provo speranza oltre che per morire adesso.

Quanti anni dovrò aspettare

"Quanti anni dovrò aspettare ancora perché tu venga a prendermi?"
"Perche parli di anni?"

E mi si accende una speranza, un barlume, una fioca fiammella.
Io continuo ad implorare "Vieni a prendere adesso! non ce la faccio più"e guardo con sconforto e orrore al Natale che arriva, a quello che ha sempre significato e che non sarà mai più.
Io non ce la faccio. Io voglio Pablo, io voglio stare con lui.

Il ponte dei morti

Domani è il 2 novembre, il giorno dei morti.
Una volta era un ottima occasione per un ponte fuori stagione.
Quanti viaggi ho fatto nel ponte dei morti! Quanti ricordi, ricordi che sono di un'altra persona. Io non sono più quella. Ho perso tanto tempo fa la me che ero.
Oggi c'è solo un cimitero, un camposanto, una tomba che ho sempre davanti agli occhi, una tomba dove vorrei andare subito anche io, per non essere più sola.

Annullata

Giro inconcludente per casa. Devo partire. Ma non ne ho la forza. La forza mentale.
La morte di Pablo mi ha annullata, ha risucchiato via tutto. Sono rimasta un involucro vuoto.
Non so quanto lo capiscano gli altri: c'è la mia immagine, c'è il mio simulacro, ma di me non c'è più nulla.

Abiti nell'armadio, calzini nel cassetto

Ci risiamo, è un giorno di festa.
Famiglie più o meno felici, più o meno serene si godono insieme questi giorni. Una vacanza, o anche il semplice bighellonare per casa in pigiama.
Io intorno a me ho il silenzio assordante dell'assenza.
Intorno ho le sue cose che non voglio spostare, che non voglio eliminare, ma che mi feriscono in continuazione.
Non posso svuotare i suoi cassetti, sarebbe rinnegarlo, cancellarlo eliminarlo. E io non voglio, io non posso.
Mi viene in mente uno degli ultimi film che abbiamo visto insieme al cinema, dove una Margareth Tatcher insultata dall'Alzhaimer spazzola amorevolmente i vestiti del marito morto tanti anni prima, rifiutandosi testardamente di darli via.
Chi l'avrebbe mai pensato allora che pochi mesi dopo sarei stata io a spazzolare gli abiti del marito morto.