Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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mercoledì 31 dicembre 2014

31/12/2014

"Sono stata speranzoso tutta la vita. Vagonate di speranza"
Lo ero anche io, fino a quando la mia vita non si è disintegrata in quella telefonata dall'altro capo del mondo che mi diceva che eri morto.
Non ce la faccio più nemmeno a vedere la felicità degli altri raccontata in un film.
Seduta sul divano, congelata dalla tua assenza, dalla tua mancanza.
Stasera avrei dovuto assistere allo spettacolo degli altri che si fanno gli auguri a mezzanotte. Io spettatrice, in secondo piano, in attesa del mio turno, perché non non ho più te al mio fianco. Tu attento, premuroso. Era facile girarsi l'uno versa l'altra. Il tuo gesto, è qui presente, ma impalpabile, il tuo chinarti verso di me per baciarmi.
Non c'è più. Stasera non mi bacerai, non stapperai lo spumante per noi due.
Non serve alzare il termostato. Il gelo ce l'ho dentro.

martedì 16 dicembre 2014

Di nuovo un Natale.

I vicini hanno appeso alla porta una decorazione. 
Un tempo lo facevo anche io. Smisi con il dolore per la morte di mamma. 
Da allora non ho più riaperto le scatole con le decorazioni di vetro di quando ero bambina.
Il gattino con la giubba rossa, l'elefantino argentato con quell'aria pacifica, la palla verdolina con il bambino, la trombetta, il cigno rosato dal collo sinuoso, il pavone rosso e blu...
Erano in una altra vita. Tanto lontana da questa.
Avevo anche un altro albero qui a casa. Decorazioni scelte con cura in giro per il mondo. Piccoli oggetti fragili, delicati. Ogni volta che li facevo riemergere dalla carta velina era una gioia: ognuno aveva una storia da raccontare, mentre i "miei" dischi di musiche natalizie spandevano atmosfera per la casa. Profumo di arancio, mandarino, noce moscata e cannella.  Calore, gioia, aspettative, condivisione.
Ma con la morte di mamma smisi di fare anche quello. 
Poi ripresi. 
Non tanto per me, quanto per te. Specialmente quell'anno che non andammo via. 
Faceva fraddo quel Natale. C'era la neve. Tovaglia di pizzo candido, candelabri. Solo per noi.
Che belle le foto accanto all'albero addobbato, scintillante, luminoso. Le guardo, vorrei averne scattate mille di più. Le guardo e so che non ci sarà più.
Non potrò più avere foto come quelle, non potrò più tirare fuori le mille cosine da mettere sui rami. Niente luci, niente orsetto sdraiato davanti al caminetto, niente pinguino sulla slitta, niente carillon. Niente musiche per casa.
Niente.
Non potrò più avere un vero Natale, senza di te.
Sei morto 65 giorni dopo il nostro ultimo Natale insieme. 
Insieme.
"Siamo noi due, non serve nient'altro. Stiamo bene noi due, io e te"  e dopo poco un dio incompresibilmente malvagio ci ha separato.
Cosa è Natale adesso? Un mazzo di pungitopo verde scuro, con le bacche vermiglie sulla tua tomba.
Buon Natale amore mio.

martedì 25 novembre 2014

1000 giorni

Mille giorni.
Mille giorni senza di te.
Mille giorni dalla tua morte.
Mille giorni da quel maledetto 29 febbraio, l'inizio della tua nuova vita nella luce, la fine della mia in una tenebra appiccicosa, soffocante.
Mille giorni della mia nuova non-vita.
Mille giorni in cui ogni giorno ho sperato che finalmente fosse l'ultimo .
Mille albe che speravo di non dover vedere.
Mille notti in cui speravo almeno di sognarti.
Mille.
Mille.
Mille.
quanto a lungo ancora dovrò aspettare?

sabato 8 novembre 2014

Ottobre è nero

Il tuo compleanno,
il 2 novembre
colpi di maglio sulle mie ossa
colpi continui, ritmati, impietosi.
Mi hai preso per mano nel viale accanto alla tua tomba,
mi hai cinto le spalle col braccio,
mi hai accompagnato fin dove hai potuto,
fin dove ho potuto sentirti.
Il sole accarezzava sempre più di sbieco le lapidi mentre ero li,
mentre elencavo i nomi di chi è con te,
mentre accarezzavo il travertino come avrei accarezzato la tua pelle, i tuoi capelli
mentre morivo per la tua mancanza.
Mentre la luce scompariva.

domenica 14 settembre 2014

La bici rossa

La bicicletta rossa con i parafanghi cromati l'avevo presa per mamma.
La utilizzò forse due volte, poi la lasciò ferma. Non si sentiva sicura. Era la "bici di mamma". Nessuno la prendeva.
Qualche anno dopo la morte di mamma, Pablo la riadattò a sé. "Ho risparmiato 50 euro" mi disse con quella sua aria soddisfatta che sottintendeva "guarda che bravo che sono stato!".
Anche lui la usò poche volte, aveva incominciato a non stare bene. I copertoni hanno ancora i baffi di gomma. I tacchetti dei freni sono nuovi.
La bici che doveva pedalare accanto alla mia.
La mia, ormai senza freni che non sono capace di aggiustare. Me li doveva aggiustare Pablo.
"Prendi la mia!". "No, io voglio il mio mucchietto di ruggine che nessuno mi ruba". Per fermarmi scendevo al volo.
Oggi ho finito di riadattare a me la bici di Pablo.
Disfare quello che lui aveva fatto. In un silenzio senza interlocutori che leva il fiato. 
Vorrei addormentarmi, finire. 
Chiudere. 
Basta. Per favore basta.

Aria di smalto lucido

La tristezza non dipende dal clima.
Oggi c'è un sole splendente, aria di smalto lucido.
Forse dipende dalla domenica.
Mi sono svegliata con la morte. Morti che non ho conosciuto direttamente, ma che ugualmente mi sono penetrate in qualche modo dentro. 
Mi sono svegliata con l'immagine di mia mamma e mia zia giovani, al cimitero, dove ormai c'erano i tre quinti di quella che quando erano bambine era la loro famiglia felice. Mi sono svegliata con il loro dolore dentro di me. Accudivano piangendo la loro famiglia, la tomba della loro famiglia.
Non ho mai avuto paura della mia morte, ma di quella di chi amavo.
Dicevo a mio marito "voglio morire prima io di te".
E invece eccomi qui a vivere la loro morte.
Condannata a sopravvivere.
Ieri una coppia male assortita litigava in continuazione. 60 anni portati male. Forse 65-70.
Italiano lui, dell'est lei, forse arrivata qui come badante. Un estenuante, continuo brontolio lamentoso, astioso. Il motivo erano i soldi della spesa: "hai mangiato la mia uva", "non hai comprato la maionese perché la mangio io", "le more che hai preso fanno schifo", "non compri la crema solare, ma poi usi la mia"...
Volevo dire loro "non c'è amore, non c'è stima, non c'è rispetto: dividete le vostre strade!", ma poi mi sono risposta da sola che la solitudine spaventa.

sabato 13 settembre 2014

Vivre naif

Ho freddo. Non ostante la doccia bollente ho freddo.
Tiro fuori la vecchia felpa blu. Tutte le volte che me la mettevo mi dicevi che ti piaceva e leggevi ad alta voce la scritta sulla mia schiena."vivre naif".
Me la sono infilata, nel silenzio del vuoto. Mi manca il tuo sguardo, mi manca il tuo commento.
La testa mi scoppia. Il cuore mi scoppia.

venerdì 12 settembre 2014

Vivre naif

Ho freddo. Non ostante la doccia bollente ho freddo.
Tiro fuori la vecchia felpa blu. Tutte le volte che me la mettevo mi dicevi che ti piaceva e leggevi ad alta voce la scritta sulla mia schiena."vivre naif".
Me la sono infilata, nel silenzio del vuoto. Mi manca il tuo sguardo, mi manca il tuo commento.
La testa mi scoppia. Il cuore mi scoppia.

sabato 6 settembre 2014

La vita in un attimo

Ho dovuto aprire cartelle che sarebbe stato meglio lasciare chiuse.
Ho dovuto.
Il modulo di ingresso compilato e firmato da te esattamente sei giorni prima di morire.
Una ricevuta di un ristorante dove eravamo stati esattamente un mese prima che tu morissi. Eravamo felici quella sera.
I tuoi certificati di morte in tutte le lingue. I documenti del consolato. Il riepilogo degli ultimi anni... Appunti, tuoi scritti, la tua inconfondibile calligrafia. 
Sto male.  Sto male. Sto male
Vorrei solo che anche il mio cuore cedesse in uno schianto. Pochi secondi ed essere di nuovo tra le tue braccia. Adesso.

il lutto negli occhi

Stavo cercando altro, e mi sono imbattuta in una tua foto.
Eri triste. Di una tristezza senza fondo, una tristezza che sapevi che nessuno poteva comprendere.
Era notte , eri a San T.
Avevi la stessa espressione che adesso mi appartiene.
Ho guardato la data e ho capito: 21 ottobre, il giorno in cui era morto tuo fratello.
Probabilmente in quelle stradine in salita stavi cercando il tempo in cui  eri stato felice, in cui la vita era ancora una promessa, e la morte non ti aveva ancora sfiorato.

venerdì 5 settembre 2014

Amor mio, amorcito

Perché si suicidò Emma Bovary?
Per amore?
sbagliato, per i debiti.

Perché ci si suicida?
Per scappare da un malessere tanto grande da essere diventato insopportabile ingestibile.
Un malessere  che si è insinuato dappertutto, che avviluppa come il petrolio i gabbiani.

Chi non è mai stato avviluppato da quel grasso appiccicoso che ti fa desiderare solo di non esistere più, non può capire.

Desidero tanto un abbraccio. Quell'abbraccio accogliente, protettivo, morbido e forte che solo tu mi avevi dato.
Quanto vorrei essere di nuovo abbracciata.
Entro in casa e di te ho solo la foto ad accogliermi. Solo quella.
Quanto vorrei essere stretta di nuovo. Non una volta, ma cento , mille e mille volte....

Le tue braccia sono cenere in un'urna.


mercoledì 20 agosto 2014

Cerco di non aspettarmi mai nulla da nessuno.
Ma a volte ė inevitabile avere delle aspettative.
"Zia voglio venire a dormire una notte, due notti, tre notti... Da te! Posso venire?" 
"Per me puoi venire, Chiara, ma devi chiedere ai tuoi genitori"
Non ostante i mesi di preavviso e i promemoria ai genitori -fatemi sapere le date-, ieri la doccia fredda. La bimba di 7 anni non viene. Ci sono gli altri zii, quelli di parte materna.
Non viene.  
E neppure a nessuno di loro è mai venuto in mente di passare un momento qui (sono a 150 metri dal mare, un bel posto, non lontana da loro). 
Perché lo scrivo qui? Che relazione ha con il lutto? Tanta.
Passati i primi cinque minuti dalla morte, la superficie torna a essere liscia come l'olio, per gli Altri.
Dimenticano in fretta, beati loro, che tu se lì con un dolore interno, con una ferita invisibile, ma non per questo meno dolorosa che non si rimargina mai. 
Passati i primi cinque minuti spariscono. Tornano alla loro vita, al loro mondo, dove non ci deve essere posto per il ricordo di chi è morto, dove non c'è posto per la compassione.
Se io leggessi queste parole penserei "hanno ragione gli Altri chi la vuole intorno una persona che piange sempre e che parla di morti" . Proprio per non essere di peso a nessuno, quando sono gli Altri, indosso la mia bella maschera, il dolore non traspare.
Il dolore lo scrivo qui o lo tengo solo per me.
Gli Altri non possono capire, non vogliono sapere. Solo quelli  come  noi possono avere voglia di chiederti come stai e aspettare la risposta vera.


E.

Emanuele lo avevo conosciuto anni fa durante un loro viaggio in Italia, era amico di Pablo, erano venuti a cena da noi.
In queste ore continuo a pensare a lui.
Credo che le preghiere della quasi totalità delle persone siano perchè si salvi, guarisca e viva.
Credo questo perchè la maggior parte della gente non sa che tragedia sia sopravvivere alla propria famiglia distrutta. Lo immagina, ma la loro immaginazione è distante anni luce dalla realtà.
Spero per lui che il suo destino non sia quello di sopravvivere solo, senza i propri cari. 
Una parte di noi è morta, si vive, si è condannati a vivere mentre siè già morti dentro.
Prego Dio che lo aiuti a non dover soffrire.


lunedì 18 agosto 2014

Togliere senza nulla dare

Il Signore toglie, il Signore dà. Me lo ripetevo quando morì mia mamma, ero sconvolta dal dolore.
Mi aveva tolto mia mamma, ma mi aveva dato accanto un uomo buono, forte, generoso e sensibile, con il suo appoggio morale e anche fisico ne venni fuori. Non ero sola.
Ma stavolta mi ha solo tolto, tolto, tolto.

venerdì 15 agosto 2014

Gli alberi di Buenos Aires

Basta un piccolo niente  per imboccare a rotta di collo il canalone pieno di rocce taglienti della nostalgia, della mancanza, di quello che non potrà mai più essere, di quello che non avevamo anora potuto avere e di quello che abbiamo avuto.
Sento dolorosamente la mancanza di quello che avremmo potuto avere, e che ci è stato negato.
Tutte le rare volte che c'è un film argentino scruto ogni dettaglio delle strade, dei marciapiedi, delle facciate delle case, degli interni delle stanze. Troppo poco è durata la nostra vita, amor mio, troppo poco. Cerco di guardare con i tuoi occhi quello che vedevi da bambino, e assordante sento la mancanza dei tuoi commenti, dei tuoi racconti.
Sto male, in questo freddo ferragosto.
Ieri notte ti sei seduto sul letto, ma era solo un sogno.
Vorrei addormentarmi e non dovermi svegliare, mai più.

martedì 12 agosto 2014

Christian Bobin, Resuscitare

“Christian Bobin risiede in una modesta abitazione di Le Creusot (città che non ha mai lasciato), adeguamente ubicata in una vecchia caserma dei pompieri costruita negli anni cinquanta. Egli vive nella solitudine così particolare dei guardiani dei fari, dei custodi delle chiuse e dei casellanti (…) In quanto tale la sua solitudine potrebbe sembrare egoista: essa, in realtà, è proporzionale all’attenzione quasi mostruosa che questo scrittore nutre nei confronti degli esseri viventi e delle cose. Conoscendo la gente meglio di chiunque altro, deve restarne distante, per non soccombere alla straordinaria empatia che gli impone il suo cuore. Non potendo sposare tutti, resta solo. Per capirlo è sufficiente immaginare una persona che diventa tutto quello che vede”. Così scrive Lydie Dattas a proposito dell’autore.
Nato nel 1951 a Le Creusot, Christian Bobin è poeta e pensatore molto conosciuto in Francia, autore di un’opera in cui si interroga su Dio e la materia “vita” (a proposito della scrittura di Bobin è stato detto che essa è a metà tra il linguaggio dei bambini e quello dei santi, tra la semplicità e la sorpresa).
Mentre in Francia molte delle opere di Bobin sono state pubblicate da Gallimard (uno degli editori più importanti in ambito europeo), qui in Italia Christian Bobin – forse pagando il fatto di non essere “narratore” in un universo, ahimé, “narratocentrico” come il nostro – è conosciuto solo da una ristretta cerchia di lettori e solo una parte delle sue opere è stata tradotta e pubblicata da alcuni editori coraggiosi come Piero Gribaudi, Servitium, San Paolo e Anima mundi. E questo ancora una volta conferma la miopia della nostra editoria.
In molti dei suoi libri la scrittura di Bobin è frammentaria, talora diaristica. Le sue annotazioni sono brevi e non possiedono il respiro della narrazione o dell’argomentazione filosofica. Esse contengono una pagina, una frase, un’immagine, un particolare, un parola o un verbo nella cui unicità si apre un intero mondo, un abisso fatto di emozioni e illuminazioni. In taluni libri il frammento è lungo, in altri invece è breve e assume la connotazione di un pensiero aforistico dove predomina la sorpresa, la folgorazione e talora anche l’ironia e il disincanto.
Uno dei testi più aforistici- e anche più intensi – di Christian Bobin è sicuramenteResuscitare, scritto dopo essere stato fortemente segnato dal lutto: l’amica Ghislaine, madre di tre bambine; qualche anno più tardi, il padre, malato d’alzheimer. In uno dei frammenti Christian Bobin scrive: “Gli esseri viventi appaiono e scompaiono intorno a me come le colombe che escono dalle mani vuote di un mago. Ho un bel guardare queste mani con attenzione, non trovo alcuna spiegazione”. Resuscitare è allora per Bobin riconciliarsi con la propria vita e con la propria morte, riscoprire l’amore smisurato per la vita, obbedire al tempo cercando il bene nella quotidianeità: “Il giorno in cui acconsentiamo a un po’ di bontà è un giorno che la morte non potrà più strappare dal calendario”Sempre inResuscitare Christian Bobin scrive che “Non è stato ancora scritto quasi nulla sulla bontà, ed è per questo che alla scrittura resta un futuro immenso”. In un universo come quello aforistico dove predomina lo scetticismo, il cinismo, il sarcasmo, la misantropia e la disillusione, l’aforisma di Bobin può essere definito – andando in controtendenza – un aforisma della bontà. 
Presento al lettore italiano una selezione dei frammenti più aforistici tratti da Resuscitare. La traduttrice è Laura Majocchi che ha tradotto altri testi di Christian Bobin e ha tradotto in inglese alcuni miei aforismi.
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Christian Bobin, Resuscitare, Piero Gribaudi Editore, 2003 (aforismi scelti)
In cielo c’è una stella per ciascuno di noi, sufficientemente lontana perché i nostri errori non possano mai offuscarla.
Il giorno in cui acconsentiamo a un po’ di bontà è un giorno che la morte non potrà più strappare dal calendario.
Alla mia nascita una fata si è chinata sulla mia culla dicendomi: “Assaporerai una parte minuscola di questa vita e in cambio la percepirai tutta”.
Talvolta ascolto le voci senza lasciarmi distrarre dalle parole che contengono. In quei momenti sono le anime che sento. Ciascuna ha la vibrazione che le è propria. Certe emettono solo note stonate: bisognerebbe che un Dio ne tendesse nuovamente le corde, come un cieco che accorda un pianoforte.
Ho visto un nido in rovina in cima a un grande albero e questa vista era dolce come quella di un cuore che ha compiuto il suo lavoro.
Non c’è nulla di nascosto, è tutto lì sotto i nostri occhi, la vita passata, la vita presente e la vita futura, come tre bambine che si scambiano ridendo delle confidenze su una strada di campagna.
Leggo sulle piccole foglie gialle della betulla, che grondano pioggia e oppongono resistenza al vento che li sferza, come una lettera un po’ affrettata scritta da un Dio povero.
Gli esseri viventi appaiono e scompaiono intorno a me come le colombe che escono dalle mani vuote di un mago. Ho un bel guardare queste mani con attenzione, non trovo alcuna spiegazione.
Nello stesso momento in cui si perde qualcosa di materiale, una moneta d’oro cade nel salvadanaio della Povertà.
Ho trovato Dio nelle pozzanghere d’acqua, nel profumo del caprifoglio, nella purezza di certi libri e persino in certi atei. Non l’ho quasi mai trovato presso coloro il cui mestiere consiste nel parlarne.
La maggior parte della gente perde la propria anima quando fa ingresso nel mondo, con la stessa facilità con cui si perde un libro in un trasloco.
L’amore di certe madri è come una corda passata intorno al collo del figlio: al minimo movimento di quest’ultimo verso la vita, il nodo scivolando si stringe.
Ci sono poche parole a questo mondo che non siano segretamente velate di malinconia ed è una gioia senza pecche scoprire un’anima pura. Sono anime che somigliano ai primi libri dei bambini: contengono poche parole e sono piene di colori.
Quindici secondi di purezza lì, altri dieci secondi là: con un po’ di fortuna nella mia vita, quando la lascerò, ci sarà abbastanza purezza da costituire un’ora.
E’ più facile uccidere Dio che non un passero, ed è più facile lacerare il suo cuore che non un foglio di carta: lo sanno persino i bambini.
Mi piacciono solo gli scritti il cui autore è stato sottratto al mondo, quale che sia a ragione: un dolore infinito, una gioia senza motivo o semplicemente la sensazione di essere un estraneo in terra.
Sul bordo della finestra si è posato un passero, mi ha guardato con una curiosità non priva di beffa, chiedendosi che cosa poteva occuparmi così tanto. E’ volato via quando ha capito che si trattava della stesura di un libro.
A. e D. formavano una coppia dove ciascuno dei due, per stanchezza o per disperazione, aveva rinunciato all’amore dell’altro. Non si erano separati ricomponendo il loro amore a un livello meno elevato, nell’amore comune per i viaggi e i pezzi di antiquariato, legami certamente meno fragili e dolorosi che non l’infinita speranza dell’amore. Da allora, la vita li evitava come l’acqua di un torrente circonda senza ricoprirla una grossa pietra posta al suo centro.
Ho visto posarsi sul ramo della betulla un uccello di cui non conosco il nome, così fiammeggiante da sprofondarmi in uno stupore che è durato a lungo dopo che ha preso il volo. Ogni volta che penso a questo piccolo portatore di fuoco, mi sento nel petto il dolore di non poter dire il suo nome.
Ho appena avuto un incontro silenzioso con un bambino di dieci mesi. Ci siamo guardati negli occhi per più di un quarto d’ora. Negli occhi ci sono più parole che nei libri. Il nostro incontro era di tipo metafisico. Mi rallegravo della sua presenza e lui si stupiva della mia. Siamo giunti alla stessa conclusione che ci ha fatto scoppiare a ridere nello stesso momento.
Ciascuno di noi nasce con un compito solitario da svolgere e coloro che incontra lo aiutano a compierlo oppure gielo rendono ancora più difficile: sfortunato colui che non sa distinguere gli uni dagli altri.
Talvolta vorrei entrare in una casa a caso, sedermi in cucina e chiedere agli abitanti di che cosa hanno paura, che cosa sperano e se capiscono qualcosa della nostra comune presenza sulla terra. Mi hanno ammaestrato a sufficienza perché mi trattenga da questo slancio che, tuttavia, mi sembra il più naturale del mondo.

la morte è un'isola di luce?

La tua morte è come un’isola di luce.
Nessuna barca per raggiungerti.
Bisognerebbe saper camminare sulla luce.
Si deve imparare, si impara…
                                Christian Bobin

Non avevo mai sentito parlare di questo scrittore contemporaneo, francese. E probabilmente se avessi cercato prima notizie su di lui non lo avrei neppure preso in considerazione. Invece mi sono imbattuta in queste sue parole e le ho sentite mie.
La necessità di imparare .
La morte mi ha sfiorata, mi travolta, mi ha distrutto la vita. Ha distrutto tutte le mie piccolissime, minuscole felicità. Mi ha stappato anche gli ultimi brandelli di quella morbida copertina calda in cui ero per un attimo stata avvolta, completamente avvolta, felice. Per un attimo.
E allora qualcosa la morte mi deve dare in cambio. Adesso. Non la promessa di quello che sarà quando potrò finalmente morire anche io.
Adesso.
Devo imparare a camminare sulla luce, devo trovare chi mi insegni a camminare sulla luce.

lunedì 11 agosto 2014

Vedove, vedova

Da venerdì sono scombussolata più del solito.
Venerdì sono andata al funerale di un cugino di Pablo, avevano più o meno la stessa età.
Era come se in quel momento fossi spettatrice del funerale di due anni fa di Pablo.
La mia immagine e quella di B. sfumavano l'una nell'altra: vedove, vedova.
Che brutta parola vedova. Mi fa venire in mente immagini del '700 e dell'800 di donne grasse vestite di nero, finalmente libere di essere padrone della propria vita e anche di quella degli altri. Una vedova ha dato un nome a uno champagne. Non si cita la donna imprenditrice, ma il suo stato.
Divago. La mente svicola. E il rumore sordo del dolore mi paralizza la mente e gli arti.
Sarei dovuta partire, ma non ne ho la forza, non ne ho la voglia. Partire o rimanere il dolore è costantemente dentro di me, ma forse mi illudo di trovare riparo negli angoli di questa casa silenziosa.
Chissà qual'era stato il rapporto di Mme. Ponsardin con M. Clicquot?

domenica 6 luglio 2014

Sarei in ferie

E così anche la 122esima  domenica della mia non vita si è strascicata quasi fino alla fine.
Strascicata, nonostante me. 
Dagli appartamenti vicini per tutto il giorno sono arrivati i rumori delle vite familiari: conversazioni, telefonate, rumori di stoviglie, voci. 
Voci. 
Io la voce non la uso quasi mai la domenica.  Ho parlato per la prima volta in tutta la giornata poco fa al telefono. Comunicazione di servizio.
 "Hanno finito i lavori?"
"Non lo so, non sono ancora partita"
"Perché?"
"Non ne avevo voglia" 
[ Difficile far capire che non si ha più voglia di nulla. Non possono capirlo.]

I rumori delle vite degli altri a volte mi fanno tenerezza, quasi spettatrice di un film fatto di soli suoni.
Altre volte, le più volte, invece mi strappano l'anima dall'invidia per quello che a noi, a me e a Pablo è stato tolto troppo presto.
Ha incominciato a piovere, i suoni delle vite si perdono nello scroscio del temporale.
E' come se tutto quello che ho dentro fosse esploso in questo temporale. Il tuono sordo, lo scroscio violento dell'acqua. Venuto fuori, ma solo per un attimo, poi sarà rintuzzato nella mia gola, dove lo potrò udire io sola.

Dimenticati, cancellati?

Ogni tanto, specialmente quando sento in modo soffocante la tua mancanza, apro il tuo FB.
Lo apro per trovarci un pezzetto della tua vita, nel riflesso di quelle dei tuoi amici, specialmente di quelli dell'altra parte del mondo.
Vedo le loro vite andare avanti e immagino i commenti che avresti fatto.
Mi avevi parlato della splendida fioritura azzurra della primavera di Buenos Aires, ma l'ho capita solo quando ho visto le foto che loro postavano a primavera.

Oggi ho visto un post della figlia di F, F. morto un paio di mesi prima di te, collega di mancato trapianto.
Era un post con la foto del suo bambino di pochi mesi. F. non l'ha mai visto. E la figlia se ne rammarica.
Sono così andata alla pagina di F. ed è stato quasi un cazzotto alla bocca dello stomaco. Non per le foto del bimbo che hanno preso il posto di quelle di F. relegato a un fotomontaggio in una cornice. Ma per la desolazione del vuoto. Non c'era più traccia di L. sua moglie. Spariti tutti i suoi messaggi e sparita anche lei. In quel luogo virtuale era come se non fosse mai esistita nella vita di F.
Mi ha causato una tristezza infinita. La morte cancella la vita che c'è stata?
Sono allora andata sulla pagina della moglie e l'ho trovata vispa e arzilla con un nuovo compagno.
Forse lei vive molto meglio di me. Via uno, sotto un altro.
Ma a me riesce difficile capire.

sabato 5 luglio 2014

nessun soggetto, nessun predicato, nessun complemento

Si cerca, e non si trova.
Si cerca e si trova senza sapere di aver trovato.
Si trova senza cercare.
SO che comunica con gli odori, mi è già successo più volte.
Ma stavolta non capisco.
La mente spesso è troppo forte e obnubila i sensi. Soprattutto la mia.
Cosa mi starà dicendo? Forse si diverte solo a scherzare con me.
Io ho bisogno di soggetto predicato e complemento.

domenica 22 giugno 2014

Seduti accanto sulla panchina

Ho freddo.
Ho dentro quel freddo  che nessuna estate può sciogliere.
Ho freddo. Sono triste.
Da sola nel casino infinito dei lavori. 
Apro degli scatoloni per rimettere a posto: la tue ciabatte, enormi, sono solo tue. I tuoi calzoncini estivi, scoloriti dall'uso. Sono qui, qui testimoni del vuoto che hai lasciato morendo troppo presto. Eri troppo giovane per morire. 
Ho freddo.
Sono stanca, seduta sulla panchina dove in giardino sedevamo accanto.
Per un attimo ho avuto la sensazione che ti fossi seduto accanto, le assi per un istante hanno ceduto esattamente come quando ti sedevi accanto a me.
Un attimo, mi son girata e c'era solo la tua assenza.

venerdì 13 giugno 2014

119 week end soffocanti

"​Ciao , buone ferie!" 
"Marocco? che bel viaggio, divertevi!" 
"Mia moglie mi ha detto..." 
"A mio marito piacerebbe..." 
"Vado da mio marito..." 
Brandelli di frasi, spaccati di vite più o meno felici. Sicuramente più felici della mia. 
La morte mi ha tolto ogni possibilità di essere come loro. Mi ha tolto il compagno con cui condividere, con cui gioire, con cui litigare, con cui far la pace.
 La morte mi ha tolto ogni voglia, mi nega ogni possibilità. 
La morte mi ha tolto l'affetto più grande, ha rapito l'oggetto delle mie cure, mi ha rubato la fonte delle tenerezze e delle attenzioni di cui ero ricoperta. 
Smettere di vivere e finalmente farla finita con tutto questo dolore. 
Ma per suicidarsi ci vuole coraggio. Ci vuole tanto, troppo coraggio. 
Non ne parlo mai, proprio per evitare i dardi di chi ti dice "accomodati", come a sfidarti. 
Sfide che non vale la pena raccogliere. So che chi le lancia è stata ferita dai falliti tentativi di suicidio del proprio compagno. 
Taccio. 
So da sola a cosa andrei incontro fallendo il suicidio: una vita ancora più atroce, segnata dalla dipendenza fisica da altri che mi maledirebbero per il disagio che causerei. 
Suicidio. E perché quando ho un immenso credito verso chi mi ha privata di quel poco e di quel tanto che avevo? Tocca a lui farmi morire. Possibilmente subito. E possibilmente facendomi scivolare dolcemente verso la luce. 
Rimango sola in ufficio fino a tardi, fino a che la sera non vira verso la notte. Per evitare il traffico. Ufficialmente. Per evitare di sentire urlare che a casa più nessuno mi aspetta, più nessuno mi raggiungerà. Soprattutto al venerdì, quando il silenzio dell'assenza è assordante.

sabato 7 giugno 2014

Complicità

Anche stavolta sono partita con ore e ore di ritardo. Svogliata.
Partenza come fuga. Fuga che non può riuscire. Fuga da me stessa, dal mio dolore, dal mio malessere per la tua precocissima morte. Fuga. 
Come una pallina in un flipper: puoi darle botte sempre più violente, o sempre più carezzevoli, sempre in buca andrà a finire.
Sono arrivata, il viaggio è finito. Sono stanca. Ma ora che faccio? Ho già nella testa il rimbombo: "sei rimasta sola. È morto. È morto. È morto" 
Mi sono fermata a mangiare un panino. Guardavo con invidia quelle macchine con targa straniera in vacanza. Lui e lei, qualche anno più di me, in vacanza insieme. Complici, solidali, cercavano di ordinare un caffè a una cameriera che non aveva voglia di sforzarsi a comprendere la loro buffa richiesta. Lo sguardo sollevato di intesa tra i due una volta ottenuto il caffè mi ha fatto salire le lacrime agli occhi. Io non potrò più scambiarlo quello sguardo.  Il mio complice è morto. Il mio amorcito è morto.

venerdì 9 maggio 2014

Il maglione giallo, il maglione blu.

Dovevo partire, ma ero troppo triste per  sentirmela di guidare per oltre tre ore.
Sono tornata a casa, non ho potuto evitare di aprire il tuo armadio, toccare le tue cose. Accarezzare con gli occhi i tuoi maglioni vuoti di te. 
Il maglione giallo come è giallo il sole in un una bella giornata di giugno. Con quello addosso, anche nel grigio dell'inverno portavi l'allegria. 
Quello blu, il tuo preferito che ti stava tanto bene. Non l'ho più lavato. C'è ancora un tuo capello sulla manica, come se te lo fossi appena sfilato, con quel gesto così familiare, così tuo. Lo tocco , cerco il calore della tua pelle sotto il maglione.
Chi vuoterà questa casa li metterà in un sacco e li darà via, scuotendo la testa, chiedendosi cosa li ho tenuti a fare. Ma per me tu sei ancora lì dentro. E ne ho cura. Estrema cura, come quando eri qui.  Poi metteranno tutto in un sacco.  E anche queste parole non esisteranno più.

sabato 3 maggio 2014

Viaggio in un eterno inverno

Memoria, memorie.

Una volta quando una persona moriva nel giro di meno di un anno spariva tutto di lei, a volte non c'era neppura una croce a ricordarla. Nel giro di un paio di generazioni poi ne sparivano le tracce, rimanevano solo nei registri delle parrocchie, quando non andavano a fuoco. Le foto non esistevano e i ritratti erano appannaggio dei ricchi. La maggior parte degli esseri umani non ha lasciato tracce.
Dei miei bisnonni so poco: qualche foto, i nomi e le date di nascita e di morte, pochi aneddoti. 
Oggi invece lasciamo scie a distanza di anni. Continuano ad arrivare le mail e soprattutto continuano ad arrivare i promemoria impostati su server che continuano imperterriti a credere che nulla sia cambiato.
E questi promemoria scatenano ricordi, storie, racconti. 
Potrei scrivere un libro sulla famiglia di Pablo sulle loro storie. Sono ormai l'unica a ricordarle, sono io la loro memoria. 

Cinema

Ieri sera mi sono obbligata ad andare al cinema, volevo obbligare la testa a stare ancorata a una storia, un'altra storia, per tutti i 120 minuti del film.
Ma non è possibile, all'improvviso mi si sono riempiti gli occhi di lacrime: in tutte le storie c'è qualcosa che rimanda a quello che non potrà più essere.

Cervello fritto

Il lutto frigge il cervello. Qualcosa col passare del tempo si recupera, ma non si ritorna mai più quelli di prima. È come una cicatrice sulla pelle: la ferita si è rimarginata, ma la pelle non è più liscia e elastica come prima dello squarcio. Non tornerà mai più come era prima.
E tante risorse rimangono aggrappate al vuoto, alla mancanza, alla rabbia, ai ricordi.
Il lutto fa invecchiare il cervello, l'invecchiamento avanza a velocità decuplicata rispetto a chi non è vittima del lutto.
Ho detto cervello, ma avrei potuto dire anima, pelle, occhi, pelle... Mi guardo nelle foto che ci ritraggono insieme e mi guardo allo specchio: non sono più quella. Sono l'ombra di quella che ero.

giovedì 1 maggio 2014

Barbaglio, illusione

Chiudo la porta, la lama di luce del pianerottolo sparisce. Buio. Buio e silenzio.
A volte guardo illusa verso il tuo studio, sperando di vedere la luce del computer e tu davanti a scrutare il monitor. 
Barbaglio nel buio dell'anima.
So che quando ti pare ci sei. Ma non può bastarmi, lo sai.

I colleghi pianificano le loro ferie, parlano di viaggi. Devo nascondere la rabbia e il dolore per quei viaggi che non abbiamo mai fatto e che non potremo mai fare.

domenica 23 marzo 2014

753 giorni

753 giorni in cui sono invecchiata come in 753 anni 

753 giorni in cui vivere ha perso senso 

753 giorni in cui il dolore mi è sempre stato accanto, a volte urlandomi negli orecchi, a volte bisbigliando senza sosta fino a farmi impazzire 

753 giorni in cui posso solo guardarti in fotografia e ricordare struggentemente quello che non potrà mai più essere 

753 giorni in cui avrei voluto che ogni giorno fosse stato il mio ultimo giorno su questa terra 

753 giorni in cui invidiare chi ha ancora la sua famiglia, il suo compagno 

753 giorni in cui sentirmi sola, abbandonata 

753 giorni in cui odiare il fatto di essere obbligata a vivere

sabato 15 febbraio 2014

Morire, svanire

Quanto durerebbe il volo? 
Un angoscia tremenda mi stringe la gola.
Niente, non esiste più nulla.
Solo il dolore, solo l'assenza.
Sei morto, non c'ė più nulla qui per me.

sabato 1 febbraio 2014

Kaos

La mia casa è un caos. Il caos che ho dentro è tracimato fuori. dilagato ovunque, come l'acqua dell'Era che ha invaso case e strade.
Quell'acqua gialla che mille filmati su internet propongono e ripropongono.
Vedo coppie infangate che buttano fuori mobili, biciclette, cucine, poltrone intrise di acqua e di fango, e davanti agli occhi mi balza la tua immagine con gli stivaloni alla coscia, la giacca a vento aperta. Senza di te non avrei potuto fare nulla. Insieme facemmo tutto.
Svuotammo, pulimmo, asciugammo, rimontammo. In due. Tu eri la mia forza. Io ero la tua forza.
Insieme.
Ma ora mi hai lasciato sola qui ad affrontare tutto. Ora non ce la faccio più ad affrontare nulla.
Kaos.
Ogni tanto cerco di arginarlo, di limare qualcosa.
Ma tutte le volte rischio lo scoppio del cuore.
 - Scoppiasse davvero! -
dentro una busta venuta da chissà dove ritrovo memoria del tuo ultimo ricovero in ospedale.
Sto male. Vorrei vomitare da quanto sto male.


domenica 26 gennaio 2014

musica e lacrime

Ieri sera sono andata a un concerto di musica ebraica
Non amo la musica, l'autoradio mi serve per le notizie sul traffico, qualche raro giornale radio e poco più.
Poche musiche riescono a emozionarmi, una di queste è la musica ebraica. Non ne capisco il perché.
Ieri sera mi son trovata ad avere nella testa flash continui, filmati spezzoni di due anni fa, dalla telefonata delle14 che mi annunciava la morte di Pablo, ai frenetici assurdi giorni successivi, al funerale in Argentina, il funerale in Italia, io che accarezzavo la bara, io che stringevo convulsa l'urna con le ceneri che non erano tiepide come il suo corpo, ma fredde inerti- Pablo non c'era più, non sarebbe mai più potuto tornare. Che ci stavo ancora a fare io qui.
Le lacrime mi colavano sulle guance. La musica aveva aperto uno sportello e il dolore arrivava a ondate.
Dove sei Pablo? perché tardi? io sono tanto, troppo stanca.

Buona Domenica?

Buona domenica un cavolo!
Parole vuote, augurio senza senso.
Mi hanno detto buona domenica, avrei voluto rispondere " che cavolo di domenica pensi che io possa avere con vuoto della sua assenza che mi rimbomba nella testa?"
Ma non l'ho detto
Non lo dico per non spaventarli
loro cercano solo di essere educati, gentili.
Forse neppure se lo immaginano.
Ma io lo so.
Voi che lo state vivendo come me lo sapete.
Voi, purtroppo per voi, lo sapete che cosa è questo rimbombo costante del vuoto.
Gli altri, quelli fortunati perché ancora non hanno subito lo strazio del lutto per la morte di un compagno amato, gli altri non lo sanno. Non lo possono sapere e neppure lo vorrebbero sapere.
Il dolore, passati i primi 5 minuti infastidisce. Ovviamente il dolore altrui.
"Buona domenica anche a voi" ho risposto educatamente, ma con tanta invidia per loro che possono essere ancora una coppia, perché la morte non li ha separati., ancora.

domenica 5 gennaio 2014

paura

in certi momenti ho la certezza che non dimenticherò mai nulla, neppure un cm quadrato della tua pelle potrà sfuggire alla mia memoria.
Atre volte mi assale terribile la paura di poter sfumare qualcosa.
L'angoscia allora mi stringe la gola, mi fascia con una stretta cinghia la fronte.
Mi guardo allo specchio e vedo il fantasma invecchiato di quella che ero.
Non riconosco neppure più me.
Di notte so di pensare nel sonno cose angoscianti, ma al risveglio non le ricordo, sento solo l'angoscia.
Non riesco a fare più nulla, se non soffrire. Non ho voglia di fare più nulla.
Ho solo voglia di trovare ristoro in un riposo eterno.

mercoledì 1 gennaio 2014

Capodanno

Angoscia, brutti sogni. Sto fisicamente male. Di nuovo.  E la gente intorno che vorrebbe altro.
Ho solo voglia di andare al cimitero, sedermi sulla tua tomba e rimanere lì fino a quando non ti vedrò venirmi a prendere.

2014

E siamo al 2014.
Avrei voluto non vederlo. Non me ne frega più niente di nulla.