Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
_________________________________________________________________________________________

domenica 22 giugno 2014

Seduti accanto sulla panchina

Ho freddo.
Ho dentro quel freddo  che nessuna estate può sciogliere.
Ho freddo. Sono triste.
Da sola nel casino infinito dei lavori. 
Apro degli scatoloni per rimettere a posto: la tue ciabatte, enormi, sono solo tue. I tuoi calzoncini estivi, scoloriti dall'uso. Sono qui, qui testimoni del vuoto che hai lasciato morendo troppo presto. Eri troppo giovane per morire. 
Ho freddo.
Sono stanca, seduta sulla panchina dove in giardino sedevamo accanto.
Per un attimo ho avuto la sensazione che ti fossi seduto accanto, le assi per un istante hanno ceduto esattamente come quando ti sedevi accanto a me.
Un attimo, mi son girata e c'era solo la tua assenza.

venerdì 13 giugno 2014

119 week end soffocanti

"​Ciao , buone ferie!" 
"Marocco? che bel viaggio, divertevi!" 
"Mia moglie mi ha detto..." 
"A mio marito piacerebbe..." 
"Vado da mio marito..." 
Brandelli di frasi, spaccati di vite più o meno felici. Sicuramente più felici della mia. 
La morte mi ha tolto ogni possibilità di essere come loro. Mi ha tolto il compagno con cui condividere, con cui gioire, con cui litigare, con cui far la pace.
 La morte mi ha tolto ogni voglia, mi nega ogni possibilità. 
La morte mi ha tolto l'affetto più grande, ha rapito l'oggetto delle mie cure, mi ha rubato la fonte delle tenerezze e delle attenzioni di cui ero ricoperta. 
Smettere di vivere e finalmente farla finita con tutto questo dolore. 
Ma per suicidarsi ci vuole coraggio. Ci vuole tanto, troppo coraggio. 
Non ne parlo mai, proprio per evitare i dardi di chi ti dice "accomodati", come a sfidarti. 
Sfide che non vale la pena raccogliere. So che chi le lancia è stata ferita dai falliti tentativi di suicidio del proprio compagno. 
Taccio. 
So da sola a cosa andrei incontro fallendo il suicidio: una vita ancora più atroce, segnata dalla dipendenza fisica da altri che mi maledirebbero per il disagio che causerei. 
Suicidio. E perché quando ho un immenso credito verso chi mi ha privata di quel poco e di quel tanto che avevo? Tocca a lui farmi morire. Possibilmente subito. E possibilmente facendomi scivolare dolcemente verso la luce. 
Rimango sola in ufficio fino a tardi, fino a che la sera non vira verso la notte. Per evitare il traffico. Ufficialmente. Per evitare di sentire urlare che a casa più nessuno mi aspetta, più nessuno mi raggiungerà. Soprattutto al venerdì, quando il silenzio dell'assenza è assordante.

sabato 7 giugno 2014

Complicità

Anche stavolta sono partita con ore e ore di ritardo. Svogliata.
Partenza come fuga. Fuga che non può riuscire. Fuga da me stessa, dal mio dolore, dal mio malessere per la tua precocissima morte. Fuga. 
Come una pallina in un flipper: puoi darle botte sempre più violente, o sempre più carezzevoli, sempre in buca andrà a finire.
Sono arrivata, il viaggio è finito. Sono stanca. Ma ora che faccio? Ho già nella testa il rimbombo: "sei rimasta sola. È morto. È morto. È morto" 
Mi sono fermata a mangiare un panino. Guardavo con invidia quelle macchine con targa straniera in vacanza. Lui e lei, qualche anno più di me, in vacanza insieme. Complici, solidali, cercavano di ordinare un caffè a una cameriera che non aveva voglia di sforzarsi a comprendere la loro buffa richiesta. Lo sguardo sollevato di intesa tra i due una volta ottenuto il caffè mi ha fatto salire le lacrime agli occhi. Io non potrò più scambiarlo quello sguardo.  Il mio complice è morto. Il mio amorcito è morto.