Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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mercoledì 20 agosto 2014

Cerco di non aspettarmi mai nulla da nessuno.
Ma a volte ė inevitabile avere delle aspettative.
"Zia voglio venire a dormire una notte, due notti, tre notti... Da te! Posso venire?" 
"Per me puoi venire, Chiara, ma devi chiedere ai tuoi genitori"
Non ostante i mesi di preavviso e i promemoria ai genitori -fatemi sapere le date-, ieri la doccia fredda. La bimba di 7 anni non viene. Ci sono gli altri zii, quelli di parte materna.
Non viene.  
E neppure a nessuno di loro è mai venuto in mente di passare un momento qui (sono a 150 metri dal mare, un bel posto, non lontana da loro). 
Perché lo scrivo qui? Che relazione ha con il lutto? Tanta.
Passati i primi cinque minuti dalla morte, la superficie torna a essere liscia come l'olio, per gli Altri.
Dimenticano in fretta, beati loro, che tu se lì con un dolore interno, con una ferita invisibile, ma non per questo meno dolorosa che non si rimargina mai. 
Passati i primi cinque minuti spariscono. Tornano alla loro vita, al loro mondo, dove non ci deve essere posto per il ricordo di chi è morto, dove non c'è posto per la compassione.
Se io leggessi queste parole penserei "hanno ragione gli Altri chi la vuole intorno una persona che piange sempre e che parla di morti" . Proprio per non essere di peso a nessuno, quando sono gli Altri, indosso la mia bella maschera, il dolore non traspare.
Il dolore lo scrivo qui o lo tengo solo per me.
Gli Altri non possono capire, non vogliono sapere. Solo quelli  come  noi possono avere voglia di chiederti come stai e aspettare la risposta vera.


E.

Emanuele lo avevo conosciuto anni fa durante un loro viaggio in Italia, era amico di Pablo, erano venuti a cena da noi.
In queste ore continuo a pensare a lui.
Credo che le preghiere della quasi totalità delle persone siano perchè si salvi, guarisca e viva.
Credo questo perchè la maggior parte della gente non sa che tragedia sia sopravvivere alla propria famiglia distrutta. Lo immagina, ma la loro immaginazione è distante anni luce dalla realtà.
Spero per lui che il suo destino non sia quello di sopravvivere solo, senza i propri cari. 
Una parte di noi è morta, si vive, si è condannati a vivere mentre siè già morti dentro.
Prego Dio che lo aiuti a non dover soffrire.


lunedì 18 agosto 2014

Togliere senza nulla dare

Il Signore toglie, il Signore dà. Me lo ripetevo quando morì mia mamma, ero sconvolta dal dolore.
Mi aveva tolto mia mamma, ma mi aveva dato accanto un uomo buono, forte, generoso e sensibile, con il suo appoggio morale e anche fisico ne venni fuori. Non ero sola.
Ma stavolta mi ha solo tolto, tolto, tolto.

venerdì 15 agosto 2014

Gli alberi di Buenos Aires

Basta un piccolo niente  per imboccare a rotta di collo il canalone pieno di rocce taglienti della nostalgia, della mancanza, di quello che non potrà mai più essere, di quello che non avevamo anora potuto avere e di quello che abbiamo avuto.
Sento dolorosamente la mancanza di quello che avremmo potuto avere, e che ci è stato negato.
Tutte le rare volte che c'è un film argentino scruto ogni dettaglio delle strade, dei marciapiedi, delle facciate delle case, degli interni delle stanze. Troppo poco è durata la nostra vita, amor mio, troppo poco. Cerco di guardare con i tuoi occhi quello che vedevi da bambino, e assordante sento la mancanza dei tuoi commenti, dei tuoi racconti.
Sto male, in questo freddo ferragosto.
Ieri notte ti sei seduto sul letto, ma era solo un sogno.
Vorrei addormentarmi e non dovermi svegliare, mai più.

martedì 12 agosto 2014

Christian Bobin, Resuscitare

“Christian Bobin risiede in una modesta abitazione di Le Creusot (città che non ha mai lasciato), adeguamente ubicata in una vecchia caserma dei pompieri costruita negli anni cinquanta. Egli vive nella solitudine così particolare dei guardiani dei fari, dei custodi delle chiuse e dei casellanti (…) In quanto tale la sua solitudine potrebbe sembrare egoista: essa, in realtà, è proporzionale all’attenzione quasi mostruosa che questo scrittore nutre nei confronti degli esseri viventi e delle cose. Conoscendo la gente meglio di chiunque altro, deve restarne distante, per non soccombere alla straordinaria empatia che gli impone il suo cuore. Non potendo sposare tutti, resta solo. Per capirlo è sufficiente immaginare una persona che diventa tutto quello che vede”. Così scrive Lydie Dattas a proposito dell’autore.
Nato nel 1951 a Le Creusot, Christian Bobin è poeta e pensatore molto conosciuto in Francia, autore di un’opera in cui si interroga su Dio e la materia “vita” (a proposito della scrittura di Bobin è stato detto che essa è a metà tra il linguaggio dei bambini e quello dei santi, tra la semplicità e la sorpresa).
Mentre in Francia molte delle opere di Bobin sono state pubblicate da Gallimard (uno degli editori più importanti in ambito europeo), qui in Italia Christian Bobin – forse pagando il fatto di non essere “narratore” in un universo, ahimé, “narratocentrico” come il nostro – è conosciuto solo da una ristretta cerchia di lettori e solo una parte delle sue opere è stata tradotta e pubblicata da alcuni editori coraggiosi come Piero Gribaudi, Servitium, San Paolo e Anima mundi. E questo ancora una volta conferma la miopia della nostra editoria.
In molti dei suoi libri la scrittura di Bobin è frammentaria, talora diaristica. Le sue annotazioni sono brevi e non possiedono il respiro della narrazione o dell’argomentazione filosofica. Esse contengono una pagina, una frase, un’immagine, un particolare, un parola o un verbo nella cui unicità si apre un intero mondo, un abisso fatto di emozioni e illuminazioni. In taluni libri il frammento è lungo, in altri invece è breve e assume la connotazione di un pensiero aforistico dove predomina la sorpresa, la folgorazione e talora anche l’ironia e il disincanto.
Uno dei testi più aforistici- e anche più intensi – di Christian Bobin è sicuramenteResuscitare, scritto dopo essere stato fortemente segnato dal lutto: l’amica Ghislaine, madre di tre bambine; qualche anno più tardi, il padre, malato d’alzheimer. In uno dei frammenti Christian Bobin scrive: “Gli esseri viventi appaiono e scompaiono intorno a me come le colombe che escono dalle mani vuote di un mago. Ho un bel guardare queste mani con attenzione, non trovo alcuna spiegazione”. Resuscitare è allora per Bobin riconciliarsi con la propria vita e con la propria morte, riscoprire l’amore smisurato per la vita, obbedire al tempo cercando il bene nella quotidianeità: “Il giorno in cui acconsentiamo a un po’ di bontà è un giorno che la morte non potrà più strappare dal calendario”Sempre inResuscitare Christian Bobin scrive che “Non è stato ancora scritto quasi nulla sulla bontà, ed è per questo che alla scrittura resta un futuro immenso”. In un universo come quello aforistico dove predomina lo scetticismo, il cinismo, il sarcasmo, la misantropia e la disillusione, l’aforisma di Bobin può essere definito – andando in controtendenza – un aforisma della bontà. 
Presento al lettore italiano una selezione dei frammenti più aforistici tratti da Resuscitare. La traduttrice è Laura Majocchi che ha tradotto altri testi di Christian Bobin e ha tradotto in inglese alcuni miei aforismi.
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Christian Bobin, Resuscitare, Piero Gribaudi Editore, 2003 (aforismi scelti)
In cielo c’è una stella per ciascuno di noi, sufficientemente lontana perché i nostri errori non possano mai offuscarla.
Il giorno in cui acconsentiamo a un po’ di bontà è un giorno che la morte non potrà più strappare dal calendario.
Alla mia nascita una fata si è chinata sulla mia culla dicendomi: “Assaporerai una parte minuscola di questa vita e in cambio la percepirai tutta”.
Talvolta ascolto le voci senza lasciarmi distrarre dalle parole che contengono. In quei momenti sono le anime che sento. Ciascuna ha la vibrazione che le è propria. Certe emettono solo note stonate: bisognerebbe che un Dio ne tendesse nuovamente le corde, come un cieco che accorda un pianoforte.
Ho visto un nido in rovina in cima a un grande albero e questa vista era dolce come quella di un cuore che ha compiuto il suo lavoro.
Non c’è nulla di nascosto, è tutto lì sotto i nostri occhi, la vita passata, la vita presente e la vita futura, come tre bambine che si scambiano ridendo delle confidenze su una strada di campagna.
Leggo sulle piccole foglie gialle della betulla, che grondano pioggia e oppongono resistenza al vento che li sferza, come una lettera un po’ affrettata scritta da un Dio povero.
Gli esseri viventi appaiono e scompaiono intorno a me come le colombe che escono dalle mani vuote di un mago. Ho un bel guardare queste mani con attenzione, non trovo alcuna spiegazione.
Nello stesso momento in cui si perde qualcosa di materiale, una moneta d’oro cade nel salvadanaio della Povertà.
Ho trovato Dio nelle pozzanghere d’acqua, nel profumo del caprifoglio, nella purezza di certi libri e persino in certi atei. Non l’ho quasi mai trovato presso coloro il cui mestiere consiste nel parlarne.
La maggior parte della gente perde la propria anima quando fa ingresso nel mondo, con la stessa facilità con cui si perde un libro in un trasloco.
L’amore di certe madri è come una corda passata intorno al collo del figlio: al minimo movimento di quest’ultimo verso la vita, il nodo scivolando si stringe.
Ci sono poche parole a questo mondo che non siano segretamente velate di malinconia ed è una gioia senza pecche scoprire un’anima pura. Sono anime che somigliano ai primi libri dei bambini: contengono poche parole e sono piene di colori.
Quindici secondi di purezza lì, altri dieci secondi là: con un po’ di fortuna nella mia vita, quando la lascerò, ci sarà abbastanza purezza da costituire un’ora.
E’ più facile uccidere Dio che non un passero, ed è più facile lacerare il suo cuore che non un foglio di carta: lo sanno persino i bambini.
Mi piacciono solo gli scritti il cui autore è stato sottratto al mondo, quale che sia a ragione: un dolore infinito, una gioia senza motivo o semplicemente la sensazione di essere un estraneo in terra.
Sul bordo della finestra si è posato un passero, mi ha guardato con una curiosità non priva di beffa, chiedendosi che cosa poteva occuparmi così tanto. E’ volato via quando ha capito che si trattava della stesura di un libro.
A. e D. formavano una coppia dove ciascuno dei due, per stanchezza o per disperazione, aveva rinunciato all’amore dell’altro. Non si erano separati ricomponendo il loro amore a un livello meno elevato, nell’amore comune per i viaggi e i pezzi di antiquariato, legami certamente meno fragili e dolorosi che non l’infinita speranza dell’amore. Da allora, la vita li evitava come l’acqua di un torrente circonda senza ricoprirla una grossa pietra posta al suo centro.
Ho visto posarsi sul ramo della betulla un uccello di cui non conosco il nome, così fiammeggiante da sprofondarmi in uno stupore che è durato a lungo dopo che ha preso il volo. Ogni volta che penso a questo piccolo portatore di fuoco, mi sento nel petto il dolore di non poter dire il suo nome.
Ho appena avuto un incontro silenzioso con un bambino di dieci mesi. Ci siamo guardati negli occhi per più di un quarto d’ora. Negli occhi ci sono più parole che nei libri. Il nostro incontro era di tipo metafisico. Mi rallegravo della sua presenza e lui si stupiva della mia. Siamo giunti alla stessa conclusione che ci ha fatto scoppiare a ridere nello stesso momento.
Ciascuno di noi nasce con un compito solitario da svolgere e coloro che incontra lo aiutano a compierlo oppure gielo rendono ancora più difficile: sfortunato colui che non sa distinguere gli uni dagli altri.
Talvolta vorrei entrare in una casa a caso, sedermi in cucina e chiedere agli abitanti di che cosa hanno paura, che cosa sperano e se capiscono qualcosa della nostra comune presenza sulla terra. Mi hanno ammaestrato a sufficienza perché mi trattenga da questo slancio che, tuttavia, mi sembra il più naturale del mondo.

la morte è un'isola di luce?

La tua morte è come un’isola di luce.
Nessuna barca per raggiungerti.
Bisognerebbe saper camminare sulla luce.
Si deve imparare, si impara…
                                Christian Bobin

Non avevo mai sentito parlare di questo scrittore contemporaneo, francese. E probabilmente se avessi cercato prima notizie su di lui non lo avrei neppure preso in considerazione. Invece mi sono imbattuta in queste sue parole e le ho sentite mie.
La necessità di imparare .
La morte mi ha sfiorata, mi travolta, mi ha distrutto la vita. Ha distrutto tutte le mie piccolissime, minuscole felicità. Mi ha stappato anche gli ultimi brandelli di quella morbida copertina calda in cui ero per un attimo stata avvolta, completamente avvolta, felice. Per un attimo.
E allora qualcosa la morte mi deve dare in cambio. Adesso. Non la promessa di quello che sarà quando potrò finalmente morire anche io.
Adesso.
Devo imparare a camminare sulla luce, devo trovare chi mi insegni a camminare sulla luce.

lunedì 11 agosto 2014

Vedove, vedova

Da venerdì sono scombussolata più del solito.
Venerdì sono andata al funerale di un cugino di Pablo, avevano più o meno la stessa età.
Era come se in quel momento fossi spettatrice del funerale di due anni fa di Pablo.
La mia immagine e quella di B. sfumavano l'una nell'altra: vedove, vedova.
Che brutta parola vedova. Mi fa venire in mente immagini del '700 e dell'800 di donne grasse vestite di nero, finalmente libere di essere padrone della propria vita e anche di quella degli altri. Una vedova ha dato un nome a uno champagne. Non si cita la donna imprenditrice, ma il suo stato.
Divago. La mente svicola. E il rumore sordo del dolore mi paralizza la mente e gli arti.
Sarei dovuta partire, ma non ne ho la forza, non ne ho la voglia. Partire o rimanere il dolore è costantemente dentro di me, ma forse mi illudo di trovare riparo negli angoli di questa casa silenziosa.
Chissà qual'era stato il rapporto di Mme. Ponsardin con M. Clicquot?