Continuare a frequentare il gruppo mi porta a riflettere su quanto siano diversi i bisogni di ciascuno di noi.
Io avevo iniziato a frequentarlo perché era l'unico posto dove ci fossero persone in grado di provare empatia con me. Erano le uniche che avessero un orecchio capace di ascolto, capace di ascoltare il dolore, lo strazio, la rabbia. Erano le uniche con cui io avessi qualcosa in comune, e questo qualcosa era ormai la totalità del mio essere: il lutto.
Null'altro. Non volevo ricette, non volevo risposte a domande. Il dolore, il desiderio di non vedere il giorno di domani, la rabbia, erano parte di me, erano me. Non mi ponevo neppure il problema di doverci convivere. Mi era precipitato il mondo addosso, e nessuno avrebbe potuto fare nulla per togliere quelle macerie.
F. invece non voleva più stare male. Non parlava mai del marito morto, che pure amava, il suo problema era non essere capace di riprendersi rapidamente, di riprendere rapidamente il controllo di sé stessa. Guardava a ciascuno ansiosa di trovare conferma al fatto che si sarebbe ripresa.
G. era come me.
A. era arrivata con una necessità impellente di rivivere ogni attimo di quella giornata che aveva segnato la fine di tutto. Poi all'improvviso ha deciso di bloccare tutto. Bloccarsi.
E. veniva perché era l'unico posto dove poteva dar voce e dar corpo al lutto, il resto del tempo doveva fare la mamma serena e fiduciosa che dà stabilità ai bambini.
M. era piena di risentimento contro tutti, rivoleva la sua vita esattamente come prima, non intendeva cambiare nulla.
E così via: C., M., F., A., P., C., I., G., G., G., O., A., .... e tutti gli altri.
Tante storie, tanti dolori, tanti percorsi diversi. Quasi tutti però con una cosa in comune: l'evoluzione. Il cambiamento.
Si evolve. Il lutto evolve, anche senza il contributo del diretto interessato. Evolve nonostante noi. Nonostante io non abbia mai avuto il bisogno di andare avanti. Non me ne fregava nulla di andare avanti. Il mio unico desiderio era di farla finita con tutta quella sofferenza con quel vuoto spaventoso, e l'unica soluzione che concepivo per questo era sic et simpliciter la mia morte. Solo la mia morte avrebbe potuto darmi sollievo. Non vedevo altre vie, al contrario di F. che avendo due figlie aveva bisogno di esserci per loro, esserci. Al contrario di tutti quelli che avevano ancora accanto persone di cui doversi prendere cura.
Trovavo impraticabile l'idea che fosse possibile vivere senza tutto quel dolore travolgente.
Invece...
Si evolve, tant'è che con mia grande sorpresa, dopo quasi 4 anni ho avuto voglia di fare qualcosa che un tempo mi dava piacere.
E soprattutto ascoltando e guardando chi è appena arrivato vedo le differenze tra me e loro. Vedo in loro quella che ero, non quella che sono.
Questo non vuol dire che il processo sia lineare, tutt'altro. Aspettatevi che il dolore torni a togliervi il fiato, a piantarvi lame roventi nell'anima. Aspettatevi di star male, di precipitare nella disperazione. Ma ogni volta durerà un po' meno.