Ci sono delle date nel calendario che si tingono di nero, di mancanze, di dolori:
Ieri 27 gennaio avrei fatto una torta, avremmo festeggiato il compleanno di mia mamma. Il suo compleanno coincideva per me con l’inizio della rinascita della natura, l’albero di mimosa davanti alla finestra era fiorito, iniziavo a potare le rose. Ora niente rinasce. Ora ho la morte dentro di me.
Il 23 settembre mia mamma morì all’improvviso, quando arrivammo a Pisa pioveva a dirotto, era in camera, stesa sul letto. C’era solo il suo corpo.
Il 20 novembre, una mattina buia, piovosa. Il mio primo incontro con la morte, ce l’ho stampato come un film nel cervello e nell’anima. Avevo 15 anni. Era morto mio babbo, a noi era stata nascosta la gravità del male. Quell’umido, quel buio mi entrarono dentro.
Il 29 febbraio, una data che neppure esiste sul calendario, la mia vita è precipitata nell’abisso del dolore, la mia vita è stata spezzata. A 13.000 km di distanza, all’improvviso Pablo è morto. Lo avevo visto per l’ultima volta sei giorni prima, all’aeroporto, un arrivederci frettoloso, uno dei suoi mille viaggi. Se ne è andato per sempre lasciando tutto in sospeso, come se dovesse tornare da un momento all’altro. Il 29 febbraio. C’era un sole estivo accecante, quando sono entrata nella camera ardente.
Il 23 ottobre, il suo compleanno e anche la morte di suo fratello. Mi rimangono solo le foto dei suoi compleanni, anche di quelli trascorsi in ospedale. Mi rimane tanta rabbia: morire a 48 anni, morire a soli 48 anni.