Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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lunedì 11 agosto 2014

Vedove, vedova

Da venerdì sono scombussolata più del solito.
Venerdì sono andata al funerale di un cugino di Pablo, avevano più o meno la stessa età.
Era come se in quel momento fossi spettatrice del funerale di due anni fa di Pablo.
La mia immagine e quella di B. sfumavano l'una nell'altra: vedove, vedova.
Che brutta parola vedova. Mi fa venire in mente immagini del '700 e dell'800 di donne grasse vestite di nero, finalmente libere di essere padrone della propria vita e anche di quella degli altri. Una vedova ha dato un nome a uno champagne. Non si cita la donna imprenditrice, ma il suo stato.
Divago. La mente svicola. E il rumore sordo del dolore mi paralizza la mente e gli arti.
Sarei dovuta partire, ma non ne ho la forza, non ne ho la voglia. Partire o rimanere il dolore è costantemente dentro di me, ma forse mi illudo di trovare riparo negli angoli di questa casa silenziosa.
Chissà qual'era stato il rapporto di Mme. Ponsardin con M. Clicquot?

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