Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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venerdì 30 novembre 2012

Cardio 2

Scivolo nella voragine dei sentimenti che è il fine settimana.
Faccio finta di non pensarci, confondo il venerdì con il giovedì.
Faccio finta di nulla, come se non guardandolo in faccia il fine settimana non potesse entrare dalla porta, con tutto il suo carico di solitudine, disperazione, dolore, apatia.
Ma la resa dei conti è inevitabile, arriva quando chiudo quella porta.
Aprendo l'armadio alla ricerca di un gilet di pile (ho freddo) mi vengono tra le mani tre magliette nuove, mai messe. Gliele avevo comprate per l'ospedale, infatti sono ancora piegate e insacchettate, pronte per il prossimo ricovero.
Prossimo.
Non ci saranno più ricoveri per Pablo, quelle magliette non le indosserà mai più.
Così come i due pigiami abbottonati davanti, per il trapianto.
Volli io che li comprasse, lui nicchiava. Lo volli per non dover correre a cercarli nei negozi, perché potesse provarseli e sceglierli.
Non ha fatto in tempo, non è arrivato al trapianto.
E' morto.
Morto.
Non hanno fatto in tempo a chiamarlo

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