Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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venerdì 9 novembre 2012

Il parcheggio

Silenzio.
In ufficio c'è improvvisamente silenzio.
E' venerdì, sono scappati tutti verso i loro impegni, verso le loro  famiglie, verso le loro vacanze, verso le loro case. Verso il loro agognato week end.
Sono scappati con lo stesso spirito allegro con cui i bambini sciamano fuori dalla scuola.
Come i bambini infatti hanno delle aspettative, hanno un futuro davanti e vogliono viverlo.
Io sola sono rimasta qui. Come sempre. Come tutte le sere che lentamente sfumano nella notte.
Cerco di trascinare il più a lungo possibile il mio stare qui, per sfuggire al silenzio dell'assenza.
Luogo neutro, luogo che non mi ricorda Pablo, che non mi sbatte in faccia la sua assenza.
E' una fuga. E' un non vivere.
E' il mio attendere impaziente, ostinata che Pablo possa finalmente venirmi a prendere.
Io aspetto di morire. Lo aspetto come una liberazione.
Io qui ho finito il mio percorso, ne ho un altro da fare, e non è qui. E sono impaziente di iniziare il nuovo viaggio, la nuova vita nell'aldilà.
Qui sono solo parcheggiata.
Nessuno accetta questo. Nessuno è capace di comprendere quello che dico. Nessuno è capace di accettare che ci sia un altrove verso il quale anelo andare.
Tutti nel giudicare si affidano al proprio modo di sentire, e siccome tutti hanno paura di morire, tutti sono attaccati alla loro vita terrena, non riescono a capire la mia posizione e mi danno sulla voce.
Inizio a detestare quelli che mi dicono "non devi dirlo", "non devi pensarlo", "ti riprenderai", "devi reagire"...
Reagire.
Accidenti se ho reagito!

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