Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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giovedì 8 novembre 2012

rabbia, dignità e morte

Martedì O. ha detto che il suo compito è darci speranza.
G. le ha risposto che lui non era lì per quello, lui non stava cercando di ricostruire la sua speranza.
Mi ritrovo molto nei sentimenti di G. Nella sua rabbia. Quel ragazzo è saturo di rabbia. Ma non credo che desideri di morire, come invece lo desidero io.
Non ho capito se si sia rassegnato a dover vivere non ostante tutto.
La sua rabbia è caricata anche dalla sua giovinezza e dal calvario di A.
Il calvario di Pablo non è stato devastante al punto di togliergli la dignità. A lui questo è stato risparmiato. E di questo ne sono grata, lo riconosco.
So perfettamente cosa avrebbe voluto dire per lui perdere la dignità.
Penso in continuazione ai suoi ultimi momenti.
Momenti o ore? Per quanto tempo sarà stato vigile, conscio di star morendo.? Questo mi martella nella mente. Questo pretendo di saperlo. Non so come, ma deve dirmelo.
Si sarà reso conto? Avrà evitato di chiedere aiuto per non rischiare di ritrovarsi vivo, ma menomato?
Non vedo l'ora di andare di là per avere tutte queste risposte, e tante altre.
Non vedo l'ora di andare di là.
"Zia , domani sera mi chiami?" Perché d'un tratto vuole che le telefoni tutti i giorni? Cosa percepisce?

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