Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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domenica 23 settembre 2012

lettera a una amica

Cara E., mi accorgo solo ora che mi scrivi da un indirizzo su gmail. Abbiamo le cose sotto il naso e non le vediamo.
Io poi non vedo quasi più nulla.
Solo passandoci si può capire quanto un lutto possa  devastare il fisico, la mente e l'anima. Prima erano solo modi di dire o poco più. Mai avrei lontanamente immaginato tutto questo.
Oggi devo chiudere la casa e guidare fino a Milano. Da ieri sono piegata in due a causa dei miei problemi con la schiena. Non so come riuscirò a fare tutto.
Inevitabilmente ricordo quando non ero qui da sola. Scherzando dicevo che in due non ne facevamo uno sano, ma riuscivamo sempre ad aiutarci e a superare le difficoltá. Dividevamo i pesi. Oggi i pesi mi schiacciano.
Sono le piccole sciocchezze di ogni giorno a farmi precipitare in un baratro di angoscia, disperazione, solitudine, mancanza di Pablo.
L'altro giorno l'ho sentito. Sentito... Mi sono arrivate delle frasi che non ho formulato io. Niente di più.
"sono andato avanti a preparare la casa" , e mentre piangevo seduta della vasca delle terme, mezza fuori dall'acqua mi è arrivato un affettuoso "stai sotto, C." .
Ma sono solo pallide ombre di quello che mi manca.
"Quanto ci metti a preparare la casa, quanto ancora devo aspettare qui?" sono queste le domande per me essenziali che rimangono senza risposta. Inascoltate.


Gli animali e i bambini si comportano con me in modo strano. Mi stanno attaccati. Più attaccati di prima. Molto di più, ma io non faccio nulla per attirarli. Cosa sentono gli animali? Quali doti avevamo da piccoli che abbiamo perso crescendo?
Gli adulti al contrario si allontanano. È come se il dolore creasse un'aura che allontana. Si cerca di evitare di entrare in contatto con chi emana dolore perchè così facendo si crede di esorcizzarlo? O lo si fa solo perchè chi ha dentro dolore è meno brillante, meno piacevole? Oppure abbiamo nascosto il nostro dolore sotto il tappeto e non vogliamo che altri ce lo rendano evidente, in un gioco di specchi?
Gli antichi romani avevano i Lari come protettori della casa, ricordavano con affetto e rispetto i propri morti, non li nascondevano. La nostra società nasconde, rimuove. Mia cugina mi dice che il cimitero è sempre píù deserto, nessuno va più dai propri morti se non nella ricorrenza canonica, quando si va per fare salotto, per spettegolare, per commentare quanti fiori e di che dimensioni sono sulle tombe. Abbiamo meno tempo? Non vogliamo ricordare? La morte ci spaventa così tanto?
Ci stordiamo: musica a palla nei negozi, in casa televisione sempre accesa su chiacchiere vuote, in macchina e in ufficio radio costantemente accesa come costante rumore di fondo.
 I nostri orecchi, la nostra mente non è più abituata al silenzio, non sa più gestirlo. Il silenzio ci spaventa. Il silenzio è un vuoto che  non siamo più capaci di
 riempire da soli. Il silenzio come momento di riflessione, di esplorazione di noi stessi è un lusso che ormai pochi sanno cogliere. E il cimitero è silenzio, solitudine, abbandono, incognito.
Ti abbraccio
C.

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