Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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martedì 31 dicembre 2013

Il profumo dei cipressi

Il profumo dei cipressi mi sorprende in questa giornata di fine anno. Cipressi scuri, un fitto inaspettato intreccio di rami dentro il quale nascondono scope per tener pulite le tombe.
Inizio a spazzare la tua tomba bagnata, i rametti rimangono appiccicati alla pietra, nemmeno loro desiderano staccarsi da te.
Spazzare una tomba, che altro più posso ormai fare per prendermi cura di te?
Ricordo il nostro primo capodanno insieme, e l'ultimo, inaspettatamente ultimo.
E tutti gli altri in mezzo.
Prezioso ricordo. 
Non c'è null'altro che il ricordo e la rabbia, il dolore per quello che non potrà mai più essere.
Quel capodanno senza fuochi, strano per me, ma non per te, con la testa piegata all'indietro a guardare un cielo che non avevo mai visto, cercando con gli occhi la Croce del Sud.
Nulla è più come era, e nulla ha più senso. Le lacrime colano nel collo. 
Domani è il 2014, e tu non lo scriverai mai. Mi manchi tanto. Vorrei non scriverlo mai neppure io.

domenica 22 dicembre 2013

22 dicembre

22 dicembre.
Gente che compra i regali, gente che pensa al cenone della vigilia e al pranzo del giorno di natale.
Tutte lame che mi si conficcano dentro, che mi trafiggono la pelle, che mi lacerano i muscoli, che mi scheggiano le ossa.
Lame.
Una volta amavo il Natale, i preparativi. Addobbavo con gioia l'albero, studiavo o regali più idonei, pianificavo per tempo.
L'ultimo Natale feci i salti acrobatici per trovar il regalo per te. Confezionato su misura per te, con le tue iniziali incise nel cuoio. L'ho preso in mano poco fa, profuma ancora di cuoio, lo hai usato solo per poco più di un mese, poi te ne sei andato per sempre.
Morto
M O R T O
M  O  R  T  O
M   O   R   T   O
M    O    R    T    O
M      O      R      T      O


Il secondo Natale con la tua assenza. Con la mia solitudine. Con la tua mancanza. Con il mio strazio celato agli occhi di tutti. Con il mio cervello in pappa, con il mio cuore secco. Adempio, al meglio che posso, ai miei doveri, nulla di più.
Io non ce la faccio più. Io voglio farla finita.
E' già difficile nei giorni normali, in quelli di festa è atroce.
"Tornerò" mi scrivesti. Ma non sei tornato più. Torna adesso e portami via per sempre. Abbracciami e portami via. Qui non ci sto più a fare nulla, se non ad aspettarti.

giovedì 12 dicembre 2013

Dicembre, mese orribile.

Dicembre, mese orribile.
Un tempo ero contenta, dicembre voleva dire la mia festa, il mio compleanno. "sei contenta di essere nata" constatava mia mamma con meraviglia e incredulità. Sì ero contenta. Allora ero contenta. La vita non mi era ancora passata addosso come un rullo compressore.
Adesso dicembre, con il mio compleanno, con il natale, con la notte di capodanno, con i ponti che era bello sfruttare... adesso dicembre mi si conficca in gola e mi taglia l'aria. Adesso dicembre è l'evidenziatore fluorescente del mio dolore, della tua mancanza, del mio essere rimasta sola. Sopravvisuta nonostante me.

Ti ho cercato, sperando in un cenno. Ma ti sei allontanato, sei altrove, come è giusto che sia. Ma io ... ma io...
tocco i tuoi vestiti nell'armadio, accarezzo i tuoi maglioni...
Io non ce la faccio più.

venerdì 18 ottobre 2013

Ottobre, il 23.

Si avvicina il tuo compleanno, ma tu sei rimasto fermo ai tuoi 48 anni. Quattro mesi dopo aver compiuto 48 anni sei morto. E io sono invece condannata a invecchiare, condannata a inanellare giorni, mesi, anni. Vuoti di tutto, tranne che del dolore. Costante presenza nel mio sopravviverti.
Al cimitero leggevo le date sulle tombe, calcolavo le età, confrontavo le mogli con i mariti, con i figli. Tutte le volte passo davanti alla tomba di Berno, aveva due anni meno di me. Morì a 18 anni. Unico figlio. Il padre gli sopravvisse di pochi mesi, stroncato dal dolore.
La mamma fu invece condannata, come me, a sopravvivere. Tanti anni sopravvisse, invecchiò senza piú figlio, senza più marito. Prima non mi soffermavo su questo. Prima non capivo il compiangerla di mia mamma.  Anche mia mamma passava tutte le volte davanti a quella tomba. 
Adesso gli altri non comprenderanno me. Qualcuno forse mi compiangerà, forse. Forse. 
"Sei tutto quello che mi rimane di Pablo" mi ha detto ieri una sua amica. E tutti sottindendono "tu sei forte" credo che in realtà se lo raccontino per potersi scaricare la coscienza.
Il 23 ottobre, era il tuo compleanno quando facesti il funerale di tuo fratello, morto a 32 anni. Per 13 anni a ogni tuo compleanno hai avuto di fronte quella morte. Adesso siete tutti di nuovo insieme, come quando eri bambino.
Ma a me manchi immensamente. Morendo ti sei portato via la mia vita.

venerdì 11 ottobre 2013

Autostrada

Di nuovo in macchina, la tua macchina. Il tuo volante tra le mie mani. Il sedile costantemente tirato avanti, mentre tu lo tenevi tutto all'indietro. Le tue gambe lunghissime. Eri bello. Bello.
Che nostalgia di potermi sedere ancora al posto del passeggero. La mia cuccia in tanti viaggi. Ora invece devo sedere diritta, lo sguardo alla strada o agli strumenti. Niente  più di quello che  era potrà più essere. Nulla più.
Mi fermo a mangiare. Da sola. Con il ricordo di noi accanto mentre apro la porta, mentre ordino le cose che ordinavamo insieme.
Cerco quello che non c'è più che non ci sarà più. Lo cerco sedendomi dove ci eravamo seduti. Lo cerco mangiando quelle stesse cose. Lo cerco, ma non c'è più nulla. Non ci siamo più. Non ci sei più. Ho solo il tuo ricordo, un soffio, 

domenica 6 ottobre 2013

Sono stanca, tanto stanca

Sono stanca. Per tutta l'estate ho finto di vivere. Una finzione recitata con cura, sperando alla fine di ingannare soprattutto me stessa.
Ma basta nulla, basta l'inizio di ottobre, il mese del tuo compleanno, per far sgretolare la finzione.
Il tuo compleanno è fermo a 48 anni, sei rimasto lì, mentre io vado stancamente avanti, avanti nonostante me stessa. Avanti nonostante il mio desiderio di addormentarmi.
Ho acceso una candela per te, in questo grigio la luce danza muovendo i tuoi occhi.
Sono stanca, tanto stanca. Stanca di tutto. Vienimi a prendere, portami via con te . Per sempre.

domenica 8 settembre 2013

Solo donne?

Mi scrivono, mi parlano solo donne. Donne che vivono il mio stesso dolore.
Gli uomini non hanno bisogno di dare parole al proprio dolore?

sabato 7 settembre 2013

Valige

Sono passati 17 mesi e dieci giorni da quando sei morto. E le tue valige che ho dovuto io riportare dall'Argentina sono ancora qui, chiuse. In salotto. In salotto come nella foto di quando  arrivasti. Come ero contenta quel giorno, piccolo mio.
Non ce la faccio ad aprirle. Non ce la faccio. Le guardo, ma non posso toccarle. Ad aprirle mi scoppia il cuore.

Sotto la doccia ho usato qualche goccia del tuo bagnoschiuma, cercandoti. Tu lo compravi perché ti ricordava tuo babbo. È un incubo. Le nostre vite si sono trasformate in un incubo. E io sono ancora condannata a viverlo. Condannata a vivere.

Capisco quelli che

Capisco quelli che si buttano di sotto da una finestra. Ora posso capirli.
Quando ha questo dolore che ti brucia dentro, quando la saliva non passa dalla gola, quando il diaframma è un macigno, quando qui non c'è più nulla.
Su un balcone vicino al mio una mamma spiega alla bimba che sotto la pelliccia il micio ha la pelle 
"e poi?" 
"Poi c'è la carne e poi ci sono le ossa"

Come stai bene!

"Ti trovo bene! Come stai?" E la risposta che pretendono da te è "meglio", se non addirittura "bene".
Abbozzo. Li lascio pensare quello che preferiscono.
È incredibile il loro non volermi vedere per quello che realmente sono. 
Sto al gioco. Non dico quasi più a nessuno il mio dolore, lo urlo solo davanti a uno specchio.
"Come stai bene! Quanto sei dimagrita!" Prova a chiedermi come ho fatto e non saprò resistere all'acidità di un "rimani vedova di un marito che amavi, che era parte di te, e vedrai come dimagrisci bene anche tu".
Se almeno mi consumassi del tutto. Se almeno svanissi.

Sogno, e al risveglio mi ricordo solo qualche parola in spagnolo.  Quindi dovevo essere in Argentina, peccato non ricordare, almeno un pò di pace nei sogni, almeno lì un po' di vita felice... No neppure questo mi è dato.
Dio, Dio Feroce, Dio senza pietas, Dio cosa ti ho fatto per farti vendicare così su di noi?

Giornata di prove, inizierà il viavai degli elicotteri. Con Pablo fuggivamo via dal frastuono. Con Pablo.Con Pablo.Con Pablo.Con Pablo.
Senza Pablo. Senza.

sabato 17 agosto 2013

Sconclusionata

Faccio la spesa e poi non cucino, mangio quando me ne ricordo, perché sento i crampi dello stomaco che reclama il cibo. Rosicchio, neppure mi apparecchio, neppure mi siedo a tavola. Butto via il cibo che parcheggiato nel frigo alla fine va a male e puzza.
Strappo le erbacce e le zanzare tigre mi si appiccicano addosso, mille vampiri che dovrei sterminare. Pablo le odiava, si era procurato il necessario per bonificare il giardino. Io mi lascio andare, le schiaccio, ho le braccia e le gambe con i grumi del mio sangue e i loro corpi spiaccicati, una poltiglia nera e rossa.
Devo fare i fori nel muro, mi sono portata dietro il trapano più volte per farli. Avevamo comprato insieme la barra di acciaio per la cucina. L'avevamo comprata d'autunno e la scorsa estate avremmo dovuto montarla,  avremmo aspettato il momento in cui Pablo non fosse stato troppo male, ci voleva una serie di giornate secche, ventilate, non troppo calde per fargli trovare quel po' di energie necessarie per fare il lavoro. Non era mai facile vivere normalmente, come fanno milioni di famiglie senza neppure apprezzare la fortuna che hanno. Per noi tutto era diventato più complicato che per gli altri, quelli fortunati e inconsapevoli della loro fortuna.
Dovrei fare quei fori, dovrei montare quell'aggeggio che avevamo comprato insieme. Ma mi fa troppo male. Sto troppo male. Mi racconto fandonie, compro ganci a accessori per quell'aggeggio e li parcheggio. Li parcheggio in attesa di andarmene anche io

Apnea

Mi sento ripetitiva, ma non sento altro che questa mancanza di fiato, il respiro che manca, l'aria che il corpo si ostina a cercare di non accogliere.
Smettere di vivere è questo il mio più grande desiderio. E se non c'è respiro non ci può essere vita. Forse è per questo che il mio diaframma si è trasformato in una pietra.
Passa solo un filo di fiato, impercettibile. Vorrei che il mio cuore cedesse, uno schianto, uno scoppio nel petto che finalmente azzererebbero tutto questo dolore. Uno schianto nel cuore, come è successo a te, amore mio morto.
Questa seconda estate senza di te è ancora peggio della prima, quando ero istupidita dal dolore, dalla repentinità con cui tutto era accaduto.
Adesso non ho neppure più la via di fuga del sonno, adesso sono insonne, lucidamente cosciente di questo squarcio che si è aperto nella mia carne, nella mia anima. Di questo vuoto.
Perché Dio è così feroce? Perché  non è immensamente buono, come recitavamo a catechismo? Se fosse immensamente buono accoglierebbe il mio grido di dolore e mi farebbe scoppiare il cuore, mi farebbe andare di là, da Pablo, finalmente non più sola.

mercoledì 14 agosto 2013

Te ne sei andato.

Te ne sei andato.  Questo viaggio definitivo e irrevocabile non l'hai deciso tu, mi avresti salutata. 
Tante altre volte sei partito, ti accompagnavo all'aeroporto senza commozione, semmai eri tu quello triste di partire, triste perché solo, perché non partivo insieme a te. Davo sempre per scontato che saresti tornato, che tutto sarebbe sempre andato bene.

 Come eri allegro,  pieno di gioia, quella unica volta che ci imbarcammo insieme. Eri malato, malatissimo,ma io ero con te e tu riuscivi a gioire ad essere allegro, trainante, non ostante la terribile prospettiva di vivere attaccato a una macchina. Tu in quei momenti riuscivi a vivere pienamente il presente, senza pensare al futuro, senza pensare al passato. Eri un uomo fuori dal comune, ed eri mio. Eri unico, ed eri mio. Eri bellissimo, giovane, eri una gran bella testa, eri generoso, eri buono, ed eri mio.
Partivi, eri lontano, ma riuscivi sempre a esserci per me. Ore e ore con skype, le telefonate dal tuo ufficio, così avevo ribattezzato l Zoo dove poi avevo anche io mangiato insieme con te, e dove dopo non sono più riuscita ad entrare da sola, senza di te.
Non ho il coraggio di aprire di là il tuo cassetto, ma anche senza aprirlo sto male, fisicamente male, le tue ciabatte ti aspettano sotto il comodino, non ho il coraggio di toglierle, i tuoi sandali sono vuoti da due estati, li guardo e li rivedo abitati gioiosamente dai tuoi piedoni.
"Piedoni Ciccioni" "Piedini Ciccini" tutte le stupidaggini che esistevano  e che non potranno mai più esistere.
Eri così contento quando eravamo partiti insieme quel Natale. Perché  non mi hai fatto partire con te anche in questo ultimo irrevocabile viaggio?
 Perché aspetti tanto a venirmi a prendere? Non avete pietà per me lassù?

Il gatto mi aspetta sdraiato sulle pietre. 
Gattito. Appiccicoso, affettuoso, reclama attenzione, calore umano. Lo guardo e gli chiedo " ti ha mandato Pablo al suo posto?" Ti ha detto Pablo di starmi così appiccicato?" Un chilo e mezzo di gatto non come può pensare di consolare la mancanza di tutti i tuoi chili, dei tuoi occhi azzurri, dei tuo capelli folti ? 
Guardo e riguardo le tue foto, le conosco a memoria, ma è l'unica cosa che mi rimane di te. Foto, filmati, messaggi vocali. Li guardo nel silenzio assordante devastante della tua assenza.
Voglio morire anche io, amore mio non ce la faccio più senza di te.

sabato 10 agosto 2013

Ferie. Il mio ufficio è chiuso. 
Mi manca il luogo della sospensione. Il luogo dove sono così frastornata dai doveri da trovare momentaneo oblio dal dolore.
Il dolore ti accompagnerà sempre.
Mi aspetta appoggiato al cofano della macchina quando lascio l'ufficio, sempre più tardi che posso.
Mi guarda nello specchio del parrucchiere per ricordarmi che a casa non ci sarà nessuno ad apprezzare le mie chiome.
Mi aspetta accanto al letto, lo sento non appena apro gli occhi.

martedì 6 agosto 2013

Sola

Il lutto è infido, subdolo.
Sembra che il dolore ti conceda una tregua, ma appena tiri il fiato ecco che ritorna più aggressivo di prima.
Aspetta che tu abbassi un attimo le tue sgangherate difese per azzannarti meglio alla gola.
Sei sola, inerme, stanca, consumata. Speri solo che Dio abbia pietà di te, del tuo dolore e che finalmente ti tolga da questo mondo. E anche questa speranza si affievolisce sempre di più. Sei irrimediabilmente sola, abbandonata. 

sabato 3 agosto 2013

Invidia

Sono diventata invidiosa. Prima di 16 mesi fa non lo ero mai stata.
Quando vedo una coppia anziana a passeggio, a braccetto, sono invidiosa. Io non avrò mai la fortuna di poter passegiare da vecchia con Pablo.
Quando vedo una coppia al supermercato che fa la spesa, confabulando su cosa acquistare... io muoio di invidia. Lo facevamo anche noi, e da ultimo lo facevo mandadogli per email le foto degli scaffali, lui si stancava troppo. Messaggi avanti e indietro tra casa e supermercato. tra supermercato e ospedale.  "Cosa vuoi da mangiare?". Muoio di invidia. 
Adesso devo stare attenta a quello che compro, stare attenta che non vada a male. 
Non so fare la spesa per uno, automaticamente la faccio per due. 
Ma Pablo è morto. 
Non tornerà più a casa, non potrò più cucinare per lui.
Quando sento le telefonate dei miei colleghi a casa "Amore, parto adesso" sono invidiosa. Non c'è più nessuno a cui interessi tra quanto vado a casa. Pablo è morto, e io tornavo sempre troppo tardi. Maledetto lavoro. Maledetta la mia testa che dava per scontato che "domani" sarei potuta rientrare  prima. Non abbiamo più un domani.  Pablo è morto a febbraio, in una notte d'estate.
Quando vedo in spiaggia le coppie, di qualsiasi età che si siedono accanto, che arrivano insieme, che vanno via insieme, che fanno il bagno in mare, io muoio di invidia. Perché loro sì e io no? Perché Pablo ha dovuto morire a soli 48 anni affrontando tutto il calvario che ha affrontato?
Quando vedo quelli che hanno avuto un cuore nuovo e che son tornati alla loro vita, ai loro affetti, io muoio di invidia e di rabbia. Perchè Pablo no? Perchè? 
E perché devo stare ancora a questo mondo?

lunedì 15 luglio 2013

Pelle sottile come cartavelina

È facile ferirci. Il lutto ci rende fragili, vulnerabili, ci ha assottigliato la pelle. 
"Vengo a trovarti' starò da te al mare un paio di giorni".
È dura stare qui. Da sola. Sola con i ricordi delle estati passati, quelle in cui mi prendevo cura di loro. Sono morti tutti.
Così mi attacco a tutto quello che potrebbe riempire in qualche modo questi vuoti, questo silenzio rotto solo dal miagolio di un gatto di passaggio che mi chiede cibo.
Metto a posto la bici che Pablo aveva sistemato per sé. La rendo utilizzabile dalla mia futura ospite. Le lacrime e il sudore si mescolano. Non ce la faccio a sopportare la vita, non ce la faccio a vedere le vite degli altri e la mia non vita. Non ce la faccio più.
Mi aggrappo con le unghie alle piccole cose, alla promessa di una visita che sollevi un attimo  questa vischiosa nebbia di solitudine, di dolore.
"Sono in aeroporto, non vengo più a trovarti".
Anche il gatto, con la pancia piena, se ne è andato.

sabato 8 giugno 2013

Lutto, istruzioni per l'uso 8: i gruppi di Auto Mutuo Aiuto al lutto

Avete presente gli alcolisti anonimi, dove gente che ha (e che ha avuto) lo stesso problema si riunisce?
Cito gli alcolisti anonimi perché grazie ai film americani ne abbiamo sentito tutti parlare e più o meno sappiamo di cosa si tratta.
Esistono dei gruppi di auto-mutuo-aiuto al lutto.
Gli incontri sono settimanali, gratuiti, aperti a tutte le persone che hanno subito un lutto. Tutto è su base volontaria.
Perché andarci? Perché è l'unico posto dove vi potete trovare in mezzo a persone che sanno esattamente di cosa parlate. Se avete voglia di parlare vi ascoltano con rispetto, comprensione e partecipazione.
Non ci sono obblighi. Nessuno vi chiede nulla.
Se avete voglia parlate di voi, di lui, di come state, della vostra rabbia, del vostro dolore, delle vostre difficoltà.
Se non ve la sentite potete anche tacere per tutto il tempo.
Io ho deciso di andarci quando mi sono resa conto che solo chi aveva vissuto la mia stessa terribile esperienza aveva davvero voglia di ascoltarmi, aveva voglia di parlarmi della sua e scoprivamo così di avere qualcosa in comune, qualcosa da condividere.
Gli altri, quelli che non hanno subito lutti,  pur con tutta la buona volontà non possono capirvi.
Quando ho aperto quella porta credevo di trovare solo anziane vedove, immaginavo di essere la più giovane. Invece ho trovato giovani di 30 anni a  cui era morto il marito, la moglie. Ragazzi a cui era morto un genitore. Madri a cui era morto un figlio o un nipote. La morte non fa sconti.

Ci sono persone arrivate subito dopo la morte del proprio caro, e ci sono anche persone arrivate dopo anni.
Ci sono persone, splendide, che continuano a frequentare il gruppo per dare il loro contributo, per guidare e dare sostegno.
Gruppi di Auto Mutuo Aiuto.

Se muoio sopravvivimi

giorni fa mi avevano mandato uno stralcio di questa poesia di Neruda che ho ricercato integra

Se muoio sopravvivimi

Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che tu risvegli la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud alza i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso né i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità di gioia,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi nella mia assenza come in una casa.
E’ una casa sì grande l’assenza
che entrerai in essa attraverso i muri
e appenderai i quadri nell’aria.
E’ una casa sì trasparente l’assenza
che senza vita io ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò nuovamente.
Se soffri morirò nuovamente. Quanta rabbia mi fa questa frase. E' un ricatto idiota. Non si comanda con il cervello il dolore. Non c'è un interruttore, click, con cui chiudere il dolore. Si soffre. Si soffre da cani perché lui era parte di noi. Amputati un braccio e poi dimmi se non senti dolore per la mancanza di quel braccio!

tutto è finito lì


venerdì 7 giugno 2013

I sassi in tasca

"Il lutto è come ritrovarsi le tasche all'improvviso piene di sassi" mi ha detto stasera un'amica.
"Quei sassi saranno lì per sempre, non potrai mai più toglierli dalle tasche, ogni volta che metterai le mani in tasca li sentirai.
Quei sassi ti appesantiscono, ti rendono difficile il cammino. Peseranno sempre lo stesso peso, ma tu piano piano ti abituerai ad averli in tasca"
Quei sassi per me sono macigni, mi hanno schiacciata, mi hanno maciullato le carni.


Lutto, istruzioni per l'uso 7: maschera

Alla fine si indossa una maschera. Non inorridite voi che non siete devastati da un lutto, la maschera la  indossiamo per farvi un favore, per proteggervi dal nostro dolore.
Dentro siamo morti, anche se con voi ridiamo, scherziamo. 
Dentro non abbiamo più nulla se non il ricordo struggente, il rimpianto per quello che non potremo più avere, una triste invidia verso chi ha ancora accanto il compagno. Dentro abbiamo il dolore, il desiderio di scomparire, morire per mettere fine a tutta questa sofferenza  continua. 
Se noi siamo bravi, o se voi non volete vedere la sofferenza, penserete "hai visto come si è ripresa!"

La maschera la indossiamo talvolta anche per proteggere noi stessi, per proteggerci dalla compassione pelosa dei soliti curiosi e pettegoli. Per proteggerci sul lavoro, perché del lavoro abbiamo un bisogno disperato, sia economico, sia psicologico, e sul lavoro la comprensione per noi dura meno di un mese, dopo, senza la maschera, diventiamo fastidiosi, ci possono persino credere inaffidabili, ma questo è un capitolo a parte.

Indossiamo la maschera, ma abbiamo un disperato bisogno che qualcuno riesca a vederci oltre la maschera, che qualcuno ci chieda "come stai" essendo disposto ad ascoltare la vera risposta a questa domanda.

giovedì 6 giugno 2013

Lutto, istruzioni per l'uso 6: disordine

Si diventa disordinati.
Ho visto persone che erano precise, ordinatissime nell'archiviare i documenti di casa, trasformarsi radicalmente.
Si creano pile, mucchi, le cose si accumulano. Credo che sia il riflesso esterno del caos che ha invaso l'anima.
Non è cattiva volontà, non è pigrizia, non è ignavia. Non si è più capaci. Anche se si vorrebbe tanto non farlo è impossibile.
Chi sta accanto a una persona che ha subito un lutto devastante e vede tutto questo disordine o addirittura lo subisce, alla fine si irrita.
Si irrita perché non riesce a capire che è una conseguenza del lutto.
Non buttare tutto lì come va , va!
Metti in ordine!
Riunisci i documenti
! ...
Non è pigrizia, non è malavoglia, non si riesce ad agire diversamente, e si sta male.
E chi non capisce la nostra impossibilità ci ferisce.
Io stessa posso capire solo oggi quello che prima non avevo capito. Non potevo capirlo per il semplice motivo che non ne avevo esperienza diretta. E nessuno me lo aveva spiegato.
Non pigrizia, è letterale impossibilità di agire diversamente.

Lutto istruzioni per l'uso 5: il cervello va in pappa

Il cervello si congela, ragionare diventa faticoso.
E' un dato di fatto. Non capita solo a me, me lo hanno confermato molte altre persone che hanno subito un lutto devastante.
I primi tempi tutti hanno comprensione, in ufficio, a casa, gli amici: "Poverina, con quello che ha passato!"
Ma dura poco, la vita (degli altri) va avanti e il vostro lutto viene archiviato (dagli altri) tra i "disturbi" del tran-tran.
Per voi diventa più faticoso fare tutto.
Se prima eravate una persona ordinata che onorava puntualmente le scadenze, dopo vi troverete a rincorrere affannosamente tutto, avrete chiaro che è in scadenza la rata del condominio, ma se prima l'atto di effettuare quel bonifico vi richiedeva un piccolo dispendio di energia , adesso vi consumerà energia 100 volte di più.
E ho solo fatto un banale esempio.
Cambiare le gomme alla macchina: ve ne dimenticherete 100 volte e rendervi conto della fatica, delle dimenticanze vi consumerà, vi demoralizzerà ancora di più.
Si diventa più lenti.

Delegate, dovete delegare perché non ce la fate, non ce la potete fare, non siete più quelli di prima, perché nulla è più come prima.

Stabilite delle priorità, e cercate di non sentirvi in colpa per quello che non riuscite più a fare.

martedì 4 giugno 2013

il dolore


lutto istruzioni per l'uso 4: le decisioni

Se siete sotto gli effetti devastanti del lutto non prendete decisioni importanti. Non fatelo, per il semplice motivo che non siete abbastanza lucidi per valutare bene la situazione.
E' così per tutti. L'ho visto con i miei occhi.
L'impulso che guida molti di noi può essere quello dell'autodistruzione ( non ce la faccio più, voglio morire), o anche quello della fuga (scappare da tutto quel dolore insopportabile).
O quello del rinchiudersi, dell'isolarsi.
Non si ha la forza fisica per affrontare ancora altri cambiamenti, il lutto è già lui un cambiamento, un cambiamento devastante.
Non si ha la forza psichica per gestire ulteriori cambiamenti, non per gestirli lucidamente: solo per gestirli.
Non mettete altra carne al fuoco. Fatelo per voi.
Non decidete di cambiare  il lavoro: il nuovo ambiente non vi farà sconti, tutti pretenderanno da voi il 110% solo perché siete nuovi e dovete dimostrare quanto valete.
Non cambiate casa: è una fuga che porta solo rimpianti.
Non troncate relazioni importanti: gli affetti sono essenziali, non privatevene per malintesi, per l'incapacità dell'altro di capire la portata del vostro dolore, del vostro disagio.
Non vendete immediatamente la macchina: datevi il tempo di capire bene i costi reali e le varie possibilità. Non pensate di essere incapaci di guidare la macchina di vostro marito, adesso siete sole, non potete più appoggiarvi a lui, dovete imparare a risolvere da sole i problemi che prima gestiva lui. E l'utilitaria che siete abituate a guidare non può far fronte a tutte le esigenze della famiglia.
Avete il cervello rallentato, congelato, oppure è in ebollizione e va a mille saltando innumerevoli passaggi.
Non siete voi: aspettate a prendere decisioni importanti.

lunedì 3 giugno 2013

Si può fare una classifica del lutto?

C'è un lutto peggiore di un altro?
Si dice che la cosa peggiore sia la morte di un figlio, perché il figlio, per natura è destinato a sopravviverti.
Non ho figli, immagino che sia terribile. Posso solo immaginarlo.
Ma immaginarlo non è come viverlo in prima persona, per questo non ne parlerò.

Mio babbo è morto a 48 anni, io non ne avevo ancora 15.
Mia mamma è morta a 84 anni, io ero adulta, con una mia vita autonoma.
Pablo è morto a 48 anni, era il mio amico, il mio compagno, il soggetto del mio amore come io lo ero per lui, insieme avevamo un progetto di vita che è stato distrutto.
Ognuna di queste morti mi ha ferito, mi ha straziato, è stata dolorosa.
Ognuna in modo diverso perché ero in momenti diversi dell mia via, con protezioni diverse.
A 15 anni non sei sola, c'è la famiglia a proteggerti,  c'è tua mamma che catalizza tutto il dolore, tutto il lutto, ne era impregnata. Io volevo uscire da quel dolore, a 15 anni madre natura ci spinge a vivere, si ha la vita davanti.
Quando muore la mamma, anche se ha 84 anni, se ne va un pezzo della tua vita, il tuo essere figlia non può più esistere. Il dolore è stato immenso anche per il modo in cui tutto è successo, per la repentinità, per la lontananza. Ma non ero sola, c'era Pablo al mio fianco a sostenermi. La sera potevo tornare da lui. Mi veniva in mente un salmo "Il Signore toglie, il Signore dà". Mi aveva tolto mia mamma, ma al mio fianco avevo chi era in grado di sostenermi.
Prendere in mano tutte le sue cose, vedermi passare la sua vita davanti, i suoi ricordi era come violare qualcosa che non mi apparteneva. Ho trovato le pantofole di mio babbo, le aveva conservate per tutta la vita. Così come aveva conservato le mie prime scarpine. E' stato terribile. Ho trovato tutti gli appunti della malattia di mio babbo e ho rivissuto anche quella morte. E' stato terribile.
 "Il Signore toglie, il Signore dà". C'era Pablo, non ero sola, alla fine, dopo aver chiuso quella di mia mamma,  sarei tornata nella mia casa dove io e Pablo avevamo la nostra vita.
La nostra vita.
 "Il Signore toglie.".
La morte di Pablo è la peggiore di tutte. Non era nell'ordine delle cose. Un pezzo di me se ne è andato con lui.
Il nostro progetto non c'è più.
La nostra complicità non c'è più.
Il nostro parlarci non c'è più.
Il nostro scherzare non c'è più.
Il nostro darci sostegno a vicenda non c'è più.
 "Il Signore toglie.".



La morte non è niente?

Pochi giorni prima del funerale di Pablo un amica mi mandò questa poesia. 
Belle parole, sarebbe bello poter vivere così la mancanza, ma quando ti viene strappato il compagno ti viene strappata la tua carne, è il tuo progetto di vita che viene distrutto. E' la tua vita che se ne va.
E rimangono solo belle parole. 
Per me è così.

La morte non è niente.
Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. 
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste. 
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami ! 
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista ?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo. 
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.

Henry Scott Holland (1847-1917)
canonico della cattedrale di St. Paul (Londra)

Le ho comunque volute usare in memoria di Pablo perché lui era così. E' da lui nascondersi nella stanza accanto. E' da lui sorridere. E' da lui rassicurarmi, vegliare su di me.
Ma io non riesco a non piangere, non riesco a non essere uccisa dal dolore, non riesco a non essere piena di rabbia per questa ingiustizia. Non posso.

sabato 1 giugno 2013

Chi ne parla non lo fa

Dicono che chi ne parla non lo fa.
E chi lo pensa che fa?

Messaggi

B.: "Grazie per il tuo messaggio"
Io: "Hai ricevuto un messaggio da Pablo?"
B.:" Sì, mi ha detto di non piangere più per lui perché stava bene ed era felice. Da quel giorno non piango più. Prima piangevo molto, nel cuore avevo un dolore enorme. Quando ho visto le parole che hai scritto oggi ad A. mi sono emozionata, ma non ho pianto. Anche se non c'è, c'è lo stesso. Volevo che tu lo sapessi"
Io: "grazie B. Io sono certa che lui ora sta bene. Lo so, l'ho sempre saputo. Ma la mia vita si è spezzata. Irrimediabilmente."

Tante condoglianza

La gente arriva a queste pagine in tante maniere. Una che mi ha colpito è la ricerca di parole da scrivere in occasione di un lutto.
Incapacità di pensare?
Incapacità  di scrivere?
Incapacità di esprimere i propri sentimenti?
Incapacità di avere dei sentimenti?
Se non si è una rapa qualcosa si dovrà pur sentire, no?
Ti dispiace che sia morto il padre di una tua amica? Diglielo con le parole che ti vengono dal cuore, non è difficile.
Sei senza parole perché di fronte alla morte non ci sono parole che possano consolare? diglielo. Dille che non esistono parole per lenire il suo dolore, che sai solo tenerla stretta a te per farle sentire che ci sei, che per lei ci sei.
E' morta la moglie di un tuo amico, era giovane ed è stata devastata da mesi di sofferenze? E' un tuo amico, stagli vicino, scriviglielo, e soprattutto fallo davvero, ne avrà bisogno disperatamente.
Perché pensate di dover cercare le frasi scritte da un altra persona per un altro lutto? Se avete un cuore ascoltatelo, e scrivete quello che sentite.
Non immaginate quanto possa far bene leggere un foglio di carta scritto a mano con parole sincere.

venerdì 31 maggio 2013

Invisibile

Il dolore altrui è spesso invisibile.
Non lo vogliamo vedere perché ci mette a disagio, non sappiamo gestirlo, non sappiamo cosa dire, non sappiamo cosa fare.
Preferiamo metterci i paraocchi e non vederlo.
I miei vicini di casa non possono non avermi sentito piangere invocando il nome di Pablo. Ma non sanno dire, non sanno fare nulla. Fingono che tutto sia normale.
Soli pochissimi amici hanno raramente il coraggio di dirmi qualcosa. La maggior parte delle persone finge che non ci sia questo mio dolore, questa mia mancanza. Finge non perché non la veda, ma perché non saprebbe come comportarsi.
Il lutto altrui infastidisce chi ha una vita "normale".

giovedì 23 maggio 2013

Si ritorna sempre lì

C'è poco da fare, si ritorna sempre lì. Con la mente, con il cuore e con il corpo.
Si ritorna a questa mancanza che morde a sangue, che lacera la carne, spezza le ossa, stozza il respiro.
Ci si può drogare di lavoro, drogare di cose da fare, abbrutire di trasmissioni televisive, rintanarsi nei cinema, doparsi di cultura.
Non c'è niente da fare si ritorna sempre a quegli occhi che non guarderanno più nei miei, a quella voce che non chiamerá più il mio nome, a quelle braccia che non mi stringeranno più.

Amore mio, mi hai lasciato troppo presto, sarei dovuta morire prima io di te
Voglio morire.non voglio più spravvivere così.
Pablo, vienimi a prendere, voglio poter ricominciare a vivere, di lá, con te.

domenica 3 marzo 2013

Secca

Angoscia.
Tanta angoscia.
La natura di nuovo si risveglia.
Io sono una pianta secca, non ho gemme. Ho radici raggrinzite. La linfa non circola più da un anno.
O forse giá da prima. Disseccata dalla lunga malattia di Pablo. 
Odio vedere che intorno a me tutto rinasce mentre sono morta.
Dio, perfido Dio, perchè non mi consenti di morire completamente?

sabato 2 marzo 2013

La morte, dove è la mia morte

Silenzio assordante
Vuoto sigillato
Mi appisolo continuamente e ovunque
Il sonno come immediato succedaneo della morte.
Sono stata tradita,ingannata.
"Perché parli di anni?" Mi dicesti.
Ma l'anno si è compiuto, e ancora non sei venuto per portarmi via con te.

venerdì 1 marzo 2013

Cenere

E' passato un anno.
Vorrei avere la forza di farla finita.
Andarmene.
Non avere più questa sofferenza insopportabile.
Cenere, soffice cenere.
Un alito e andarsene.
Ma non è soffice la cenere di un corpo cremato.
E' dura, è ruvida, è secca.
E' come pietra macinata.
Ferisce. Addolora. Strazia.
La cenere di Pablo non me la dimenticherò mai.

venerdì 22 febbraio 2013

Senso

Che senso ha adesso la mia vita?
Nessuno. Ovviamente.
Quante persone si staranno ponendo adesso questa stessa domanda, e perché se la pongono?
Perché si deve arrivare a porsela?
Il mio corpo si autodifende da me, mi fa crollare in un sonno che non è né profondo, né ristoratore. 
Un sonno che equivale alla fuga.
Non è il sonno dei giusti. Non è il meritato riposo. 
È solo un click che spenge la luce. 
Apro gli occhi identica a quando li ho chiusi. Lo stesso vuoto, lo stesso nulla.
Amen.

martedì 19 febbraio 2013

Cristalli di ghiaccio

Cristalli di ghiaccio nel cervello
Son partiti in sordina il 29 febbraio
Mi hanno gelato prima il cuore
Ora che lo hanno distrutto son passati al cervello
Lo stanno invadendo
Fino a non lasciare anche lì
Niente altro che ghiaccio
Cuore necrotico
Cervello necrotico
Cosa aspetta la morte a finire il suo lavoro?

mercoledì 13 febbraio 2013

Non è solo un pezzo di ferro.


Dopo la morte di Pablo io mi sono ritrovata con due auto. Non potendomi permettere di mantenerle entrambi ho deciso di tenere quella di Pablo soprattutto per motivi affettivi.
Ma non mi decidevo a mettere in vendita la mia, mi pesava enormemente dover affrontare un ulteriore distacco.
E' solo un pezzo di ferro, dirai tu, è solo una cosa.
Ma a quel pezzo di ferro sono legati tanti ricordi.
Ho una foto buffissima di Pablo che fa lo scemo, seduto nel bagagliaio con le lunghe gambe che spuntano fuori dal portellone abbassato. Azzurra la macchima azzurri i blue jeans e azzurri i suoi occhi attraverso il lunotto.
Con quella macchina nel 2008 eravamo andati in Corsica. L'adesivo giallo e blu della Corsica Ferry ormai stinto  me lo ricorda tutte le volte.
Qualche giorno fa ho finalmente trovato la forza di pubblicare un annuncio  e di gestire le conseguenti telefonate.
Oggi avevo un appuntamento con un signore e sua moglie per far vedere loro la macchina.
Ci siamo accordati sul prezzo, andremo all'ACI a fare il passaggio di proprietà e consegnerò loro la mia macchina. Ho un groppo in gola.
Mi vengono i flash del giorno che eravamo andati a comprarla, di lui che trattava il prezzo al mio posto, di lui che metteva in croce il concessionario per farmi avere il meglio.
Non ne posso più di porte che si chiudono. E non è ancora finita.

venerdì 8 febbraio 2013

Venerdì. il vuoto che taglia il respiro

Ho cercato di non scrivere.
Ho cercato di fare lo struzzo?
Forse.
Ma puntuale insieme con le prime ore del fine settimana arriva l'angoscia che mi attanaglia l'anima.
Cerco appiglio in qualche telefonata, uso un tono leggero, sono maestra nel nascondere, piango e mi dispero solo quando nessuno può sentirmi. Non voglio disturbare nessuno.
Chi mi risponde di là ha la sua vita, i suoi impegni la sua famiglia.
Chiudo rapidamente per non essere di peso, per non portare via tempo.
Ho un urlo soffocato nella gola e nella testa.
Invoco il nome di chi non ha più voce per rispondermi, dita per sfiorarmi, occhi per guardarmi, occhi da guardare.
Pablo, ti prego, portami via. Ti prego, non voglio stare qui, io non ce la faccio più a dover vivere.
Pablo.

lunedì 28 gennaio 2013

calendario nero

Ci sono delle date nel calendario che si tingono di nero, di mancanze, di dolori:
Ieri 27 gennaio avrei fatto una torta, avremmo festeggiato il compleanno di mia mamma. Il suo compleanno coincideva per me con l’inizio della rinascita della natura, l’albero di mimosa davanti alla finestra era fiorito, iniziavo a potare le rose. Ora niente rinasce. Ora ho la morte dentro di me.

Il 23 settembre mia mamma morì all’improvviso, quando arrivammo a Pisa pioveva a dirotto, era in camera, stesa sul letto. C’era solo il suo corpo.

Il 20 novembre, una mattina buia, piovosa. Il mio primo incontro con la morte, ce l’ho stampato come un film nel cervello e nell’anima. Avevo 15 anni. Era morto mio babbo, a noi era stata nascosta la gravità del male. Quell’umido, quel buio mi entrarono dentro.

Il 29 febbraio, una data che neppure esiste sul calendario, la mia vita è precipitata nell’abisso del dolore, la mia vita è stata spezzata. A 13.000 km di distanza, all’improvviso Pablo è morto. Lo avevo visto per l’ultima volta sei giorni prima, all’aeroporto, un arrivederci frettoloso, uno dei suoi mille viaggi. Se ne è andato per sempre lasciando tutto in sospeso, come se dovesse tornare da un momento all’altro. Il 29 febbraio. C’era un sole estivo accecante, quando sono entrata nella camera ardente.

Il 23 ottobre, il suo compleanno e anche la morte di suo fratello. Mi rimangono solo le foto dei suoi compleanni, anche di quelli trascorsi in ospedale. Mi rimane tanta rabbia: morire a 48 anni, morire a soli 48 anni.

domenica 27 gennaio 2013

Franco

E' morto anche Franco. L'ultimo dei signori. Aveva modi eleganti, gentili ed educati, cosa rara oggi.
E' morto dopo un anno di agonia, paralizzato e cosciente.
Abbiamo scoperto oggi,  dopo 11 mesi che Pablo lo aveva visto, era andato a trovarlo il giorno prima di morire. Pablo aveva fatto in tempo a vedere in che stato era il suo amico. Che tristezza.
Chissà se a Franco hanno detto che Pablo era morto. Spero di sì. Spero che non abbia mai dovuto pensare che Pablo si era dimenticato di lui, perché Pablo non si sarebbe mai dimenticato di un amico in quelle condizioni.
Un altro pezzo della vita di Pablo che se ne va.
Riposa finalmente in pace, Franco.

Paralizzata

Mai avrei pensato che un lutto, questo lutto, potesse essere così devastante.
Sono annullata.
Sono immobile.
Sono ferma a quel 29 febbraio.
Ho sempre meno risorse, meno energia.
Non ho più voglia di niente. Tutto mi spaventa, tutto è peggio di una montagna da scalare senza scarpe.
L'unica cosa che sono riuscita a fare oggi, oltre che a lavarmi e vestirmi ( che è già uno sforzo enorme per me adesso), è stata di andare al cimitero vicino a casa.
Pablo non è sepolto lì, è a centinaia di km di distanza. Questo è solo un surrogato. Un surrogato che mi fa sentire ancora più sola: non ho neppure una tomba davanti alla quale piangere.
Sto scivolando sempre più giù.

A. M.







D. A. D.




sabato 26 gennaio 2013

Invisibile

Sento solo dolore, angoscia disperazione, non c' niente altro oltre a questo.
E tutti fingono di non vederlo, di non vedermi.

giovedì 24 gennaio 2013

Contratture

Ho le spalle e il collo perennemente contratti dal 29 febbraio.
Da quel giorno mi sento il peso del mondo sulle spalle, mi sento schiacciata.
Mi è passata sopra una schiacciasassi e non se ne è più andata via.

Lutto, istruzioni per l'uso. - 3 -

Cosa potete fare realmente per aiutare in qualche maniera una vostra amica colpita da un lutto?
La prima risposta che sgorga spontanea è NULLA.
L'unica cosa che lei vuole nessuna gliela puotrà mai ridare.

In realttà ci sono tante piccole cose, tanti piccoli gesti.
Piccole. A volte non sono mica poi così piccole!
Vestiti.
I vestiti sono sicuramente un problema.
Qualcuno asserirà che bisogna sbarazzarsene immediatamente. Altri vi diranno l'esatto contrario.
E' una cosa molto soggettiva. Non forzatela se vedete che su questo è rigida, intransigente.
Viene spontaneo dire, soprattutto se fa freddo, che quegli abiti adesso inutilizzati potrebbero rendere felice un altro essere umano.
E' vero, è innegabile. Ma in certi casi quegli abiti sono un sottile, doloroso legame con chi non c'è più.
Accarezzarli illudendosi che non siano vuoti.
Le illusioni a volte aiutano a respirare.
Non forzatela, rispettatela. Verrà il momento in cui sarà lei a decidere di regalarli.

Se invece vedete che vorrebbe aiutare un altro essere umano, ma che non ha la forza di tirarli fuori dall'armadio mettetevi al suo fianco, siate le sue mani .
Tirate fuori dai cassetti e riponete tutto ordinatamente in scatoloni o in robuste buste di carta.
Non usate i sacchi neri della spazzatura, per voi sarebbe comodo, ma sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti di lei, a anche verso chi riceverà quegli abiti trattati come .... immondizia.

Piegateli con cura, lei li piegherebbe con amore, fate tutto con calma, non mostratele impazienza, lei in quel momento rivede le occasioni in cui quegli abiti erano stati indossati. E' un turbinio di ricordi dolci e amari.
Se vedete che esita su un maglione, su una camicia, può darsi che a quel maglione o a quella camicia sia legato un ricordo particolare, allora proponetele di metterlo momentaneamente da parte, sarà poi  lei stessa, una volta finita l'ondata di emozioni, a rimetterlo in gioco.

A chi consegnare i vestiti e le scarpe? Occupatevene voi, sempre che lei  non abbia già  in mente un destinatario. Non metteteli nei cassonetti gialli che sono per strada, troppo spesso vengono svuotati da zingari che poi lasciano quasi tutto a terra, nello sporco, rendendoli uguali a immondizia.
Consegnateli personalmente a un centro che li dia direttamente a chi ne ha bisogno, per esempio l'Opera San Francesco. I vestiti devono essere in buono stato (no strappi, rotture) e puliti. Le scarpe mettetele a coppie in sacchetti. Pensate sempre che potreste essere voi a doverli indossare.

Tutta questa cura vi pare esagerata? Voi di solito i vostri abiti smessi li gettate appallottolate dentro i bidoni gialli? Questi non sono semplicemente abiti usati, sono molto di più.

domenica 20 gennaio 2013

Floriano

Un anno fa moriva Floriano.
Tu corresti dalla sua vedova. Eri stravolto per quella morte.
Ti ricordo seduto nel tuo studio, con la foto ricordo di Floriano in mano. Ricordo come la guardavi.
Quanto male ti aveva fatto quella morte. Quanto dolore, incredulità.
Era come se fosse l'annuncio della tua morte, e ancora non lo sapevi. Non lo sapevamo.

Dio si è preso beffa di te.

Avevi sognato quel viaggio per tutta la vita.
Lo avevi desiderato con tutte le tue forze, e prima che diventasse troppo tardi avevi deciso di intraprenderlo.
Ti saresti imbarcato a metà marzo, e dopo un mese ti avrei riabbracciato.
Lo desideravi fin dalla prima volta che avevi messo piede sull'Eugenio. Eri un bambino di pochi anni.
Non c'era più l'Eugenio, era in India a morire lentamente, oscenamente dipinta di rosso, come una vecchia baldracca imbellettata.
Ti saresti dovuto accontentare di uno di questi grattacieli gallegianti, pronti a ribaltarsi con un po' di mare.
Ma il tuo sogno si sarebbe realizzato. Finalmente avresti potuto idealmente riportare la tua famiglia in Italia, tuo padre idealmente avrebbe fatto finalmente il suo viaggio di ritorno a casa.
Ma su quella nave Dio, un Dio perfido, non ti ha neppure fatto mettere piede.
Sei morto il 29 febbraio, pochi giorni prima di salire sulla tua nave . Di entrare nella tua cabina.
Sono tanto arrabbiata per questo.
Sono tanto arrabbiata perché eri finalmente vicino a coronare il tuo sogno, il sogno che avevi da una vita.
E' stata una beffa. Dio si è malvagiamente beffato del tuo desiderio.
E io non ero neppure al tuo fianco per tenerti la testa, per farti coraggio, per dirti che non eri solo, di non aver paura, che ci saremmo riabbracciati presto, di là.

sabato 19 gennaio 2013

A che scopo?

Apro gli occhi, purtroppo il sonno è finito,
Fisso i libri, il soffitto, gli scatoloni impilati.
Non ho voglia di alzarmi, non mi aspetta nulla.
Non ho voglia di vivere questa vita.
G. Mi ha risposto che il desiderio di morire se ne è andato pensando a quanto suo figlio fosse attaccato a quel filo di vita che gli rimaneva.
Anche Pablo voleva vivere, faceva di tutto per vivere. Vivere, curarsi per vivere era negli ultimi mesi la sua principale occupazione e preoccupazione. 
Tenace, scrupoloso, i medici gli dicevano che non avevano mai avuto un paziente ligio come lui.
Pablo era unico. Pablo era mio. Pablo è morto
Forse ci si attacca a questa vita quando si sa che la propria vita è molto più a rischio del normale?
Io non so più come fare a vivere.
Mi aggrappo a quella domanda che mi è arrivata: " perché parli di anni?". Il tono era pacato,calmo, quasi sornione. Ci spero tanto.
Magari sarà stanotte. Magari.

lunedì 14 gennaio 2013

Lutto, istruzioni per l'uso. -2-

Siateci

Non è indispensabile esserci fisicamente, non è indispensabile piantarsi in casa.
Si può essere molto efficaci con una telefonata al momento giusto, o anche con una mail.
"ti penso tanto, ma non trovo mai il momento giusto per chiamarti" è la frase più idiota da dire e da ascoltare.
Se la pensi dimostraglielo, telefonata, email o anche uno scarno e asciutto sms se avete finito il credito del telefono.
Qualsiasi mezzo per farle sapere, in quel momento, che non è così terribilmente sola.
Il momento peggiore è quello in cui si chiude la porta di casa la sera.
Si chiude fuori il mondo, viene sbattuta, urlata in faccia l'assenza. Il dolore morde forte.

venerdì 11 gennaio 2013

Lutto, istruzioni per l'uso. -1-

Post dedicato a chi vuole dare una mano, vuole essere veramente di aiuto a una persona cara colpita dl lutto per la perdita del compagno/a.

Se volete davvero essere d'aiuto a una persona che soffre per un lutto allora scegliete di starle vicino.
Specialmente se, come nel mio caso, ha perso il compagno.
Dopo il funerale la maggior parte della gente si sarà dileguata.
Qualche rarissima visita imbarazzata di cortesia, e poi spariranno tutti.
Se volete darle una mano statele vicino, non abbandonatela. E' fragile, è spersa, soffre, è arrabbiata.
E se non vive con nessuno, se non ci sono figli o genitori che già da prima vivessero in casa con lei, si sentirà terribilmente sola.
E' vero, ci saranno tanti momenti in cui avrà bisogno di stare sola, per poter piangere, gridare disperarsi. Di solito questo avviene nel bozzolo dell'abitacolo di una macchina, che qualcuno ha detto essere come una camera di decompressione.
Ci saranno momenti in cui vorrà stare sola per fare finta che tutto sia "normale" che lui sia semplicemente in viaggio o nella stanza accanto. Ma questi momenti saranno brevi, non si riesce a fingere a lungo.

Il più delle volte vi dirà di non preoccuparvi per lei. Lo dirà perché non vuole essere di peso a nessuno, perché sa che è solo la sua vita ad essersi fermata, è conscia del fatto che la vita degli altri vada avanti, lei stessa vuole che la vita degli altri proceda normalmente, senza tutti gli scossoni che ha subito la sua vita.
Preoccupatevi allora per lei, ma non siate assillanti, siate discreti.

Alzate le antenne, guardate il calendario e l'orologio e regolatevi. Poi vi spiegherò il perché.
Alzate le antenne e cercate di capire quali sono i momenti peggiori. Ce ne sono tanti di momenti peggiori di altri.
Ce ne sono tanti in cui una mano tesa può davvero salvare la vita.
Non soffocatela di attenzioni, non è quello che serve.
Non soffocatela di domande, non è di domande che ha bisogno, ne ha già tante dentro di sé.
Non soffocatela di indicazioni, la sua mente è già fin troppo confusa.
Semplicemente ascoltatela.
Ascoltatela parlare di lui. Guardate insieme a lei le foto di lui. Condividete i ricordi.
Fatele capire che anche a voi fa piacere vedere quelle foto, ascoltare quei ricordi.
Basta davvero poco, anche solo una mail, una telefonata, ma dimostrate di esserci.
Siateci.

Tic toc, tic toc

Piano piano, mellifluo, viscido, insidioso il week end, il fine settimana si avvicina. L'ansia inizia a fare capolino.
Complice una mail dal Linkedin di Pablo. Un suo ex-collega, che ha saputo solo adesso della morte di Pablo,  mi manda le sue condoglianze.
Complice l'ennesimo chiudersi di porte proveniente dalla burocrazie.
Adesso devo iniziare a farmi scivolare i minuti sulla pelle. Non scivoleranno rapidi come l'acqua sul dorso del germano, scivoleranno lenti, corrosivi come l'acido muriatico sull'arenaria.

Come osate dirmi che non devo desiderare la morte, che vevo vivere?
Come osate obbligarmi a sopportare tutto questo.

Non ho altra soluzione. Non c'è più porto tranquillo per me in questa vita.
L'unica via di scampo a tutto questo dolore, a questo mio cuore gelato è la morte.

martedì 8 gennaio 2013

Vorrei poter sognare

Vorrei tanto poter sognare.
Almeno durante il sonno perdermi e ritrovare quella che ero, quello che eri, che sei.
Vorrei poter sognare noi,
Vorrei vivere nell'eternità dell'attimo quella gioia che ho perso.
Nel sogno vorrei ritrovare i tuoi occhi azzurri, le tue mani, i tuoi capelli, il tuo odore.
Nel sogno vorrei sentire che mi stringi ancora, come mi stringevi.
Vorrei riascoltare le stupidate che mi dicevi.
Nel sogno vorrei vivere rivivendo.
Fuori dal sogno ho solo lacrime.

lunedì 7 gennaio 2013

Lasciatemi morire. Adesso.

Sono ripiombata nella mia quotidianità fatta di vuoto, di assenza.
Una quotidianità che riesco a sopportare mentre sono in ufficio. Sono quasi sempre l'ultima  ad andare via, me ne vado quando ormai è notte e sta per essere inserito l'allarme. Almeno lì l'angoscia la sento meno pesante, anche se rimango sola.
Ma qui a casa è insopportabile. Diventa sempre più insopportabile.
La prospettiva di avere davanti a me anni fatti di giornate come queste, in cui neppure mangio, neppure mi alzo dal letto, questa prospettiva è angosciante.
Sono chiusa in casa da tre giorni, con l'influenza non posso andare in ufficio. Mai nella mia vita precedente avrei pensato di rimpiangere lo stare a casa.
Ma nulla è più come prima. E' come se fossi stata schiacciata. Non posso rialzarmi, non ho la forza fisica e psichica per farlo.
Non ce la faccio più.
Lasciatemi morire. Adesso.