Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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sabato 21 novembre 2015

Evoluzione del lutto: riflessioni da dentro

Continuare a frequentare il gruppo mi porta a riflettere su quanto siano diversi i bisogni di ciascuno di noi.
Io avevo iniziato a frequentarlo perché era l'unico posto dove ci fossero persone in grado di provare empatia con me. Erano le uniche che avessero un orecchio capace di ascolto, capace di ascoltare il dolore, lo strazio, la rabbia. Erano le uniche con cui io avessi qualcosa in comune, e questo qualcosa era ormai la totalità del mio essere: il lutto.
Null'altro. Non volevo ricette, non volevo risposte a domande. Il dolore, il desiderio  di non vedere il giorno di domani, la rabbia, erano parte di me, erano me. Non mi ponevo neppure il problema di doverci convivere. Mi era precipitato il mondo addosso, e nessuno avrebbe potuto fare nulla per togliere quelle macerie.
F. invece non voleva più stare male. Non parlava mai del marito morto, che pure amava, il suo problema era non essere capace di riprendersi rapidamente, di riprendere rapidamente il controllo di sé stessa. Guardava a ciascuno ansiosa di trovare conferma al fatto che si sarebbe ripresa.
G. era come me.
A. era arrivata con una necessità impellente di rivivere ogni attimo di quella giornata che aveva segnato la fine di tutto. Poi all'improvviso ha deciso di bloccare tutto. Bloccarsi.
E. veniva perché era l'unico posto dove poteva dar voce e dar corpo al lutto, il resto del tempo doveva fare la mamma serena e fiduciosa che dà stabilità ai bambini.
M. era piena di risentimento contro tutti, rivoleva la sua vita esattamente come prima, non intendeva cambiare nulla.
E così via: C., M., F., A., P., C., I., G., G., G., O., A., .... e tutti gli altri.
Tante storie, tanti dolori, tanti percorsi diversi. Quasi tutti però con una cosa in comune: l'evoluzione. Il cambiamento.
Si evolve. Il lutto evolve, anche senza il contributo del diretto interessato. Evolve nonostante noi. Nonostante io non abbia mai avuto il bisogno di andare avanti. Non me ne fregava nulla di andare avanti. Il mio unico desiderio era di farla finita con tutta quella sofferenza con quel vuoto spaventoso, e l'unica soluzione che concepivo per questo era sic et simpliciter la mia morte. Solo la mia morte avrebbe potuto darmi sollievo. Non vedevo altre vie, al contrario di F. che avendo due figlie aveva bisogno di esserci per loro, esserci. Al contrario di tutti quelli che avevano ancora accanto persone di cui doversi prendere cura.
Trovavo impraticabile l'idea che fosse possibile vivere senza tutto quel dolore travolgente.
Invece...
Si evolve, tant'è che con mia grande sorpresa, dopo quasi 4 anni ho avuto voglia di fare qualcosa che un tempo mi dava piacere.
E soprattutto ascoltando e guardando chi è appena arrivato vedo le differenze tra me e loro. Vedo in loro quella che ero, non quella che sono.
Questo non vuol dire che il processo sia lineare, tutt'altro. Aspettatevi che il dolore torni a togliervi il fiato, a piantarvi lame roventi nell'anima. Aspettatevi di star male, di precipitare nella disperazione. Ma ogni volta durerà un po' meno.

riflessi sull'acqua, riflessioni sull'evoluzione del lutto


Come ipnotizzata della luce e dall'acqua che scomponevano l'immagine continuavo a guardare questa foto.
E' lo sfondo del mio PC.
L'ho scattata io un paio di settimane fa.
Incredibilmente ho avuto voglia di uscire per fare delle foto alla luce dell'autunno.
Incredibilmente ho avuto voglia.
Solo qualche mese fa sarebbe stato impensabile per me aver voglia di qualcosa che non fosse legato ai bisogni primari di dormire e nutrirsi (all'inizio neppure nutrirsi). E soprattutto avere l'energia, la spinta per soddisfare questa voglia.
Non ho dimenticato nulla del dolore, della mancanza, del lutto.
Non ho archiviato nulla di tutto quello che ha devastato la mia vita.
La mia solitudine indotta dalla morte è chiaramente presente, la vivo con consapevolezza ogni istante, ci faccio i conti. Ci devo fare i conti.
Ma ho avuto il desiderio di fare qualcosa che mi ha sempre dato piacere, fin da piccola. Qualcosa che è parte significativa di me.
Per i primi mesi, per i primi anni del lutto avevo la necessità impellente di fare le cose per lui. Vedere prima con i suoi occhi che non c'erano più, e poi -forse- anche con i miei. Necessità impellente, imprescindibile. Io ero viva -purtroppo-, lui non era più accanto a me, non poteva gioire con me, non poteva fare più nulla, non potevamo più fare nulla insieme. Così io dovevo farlo da sola per entrambi, ma prima per lui e poi -forse- per me.
Ora non è più così? Non lo so. I confini non sono mai netti, esattamente come nel mio sfondo.
E' proprio quello che mi ha affascinato leggendo l'immagine.
La transizione della luce, il melange delle imagini riflesse, scomposte e ricomposte. La profondità oscura di quell'acqua che privata del riflesso cangiante si mostra nera, ignota, indecifrabile.
Pace, ma allo stesso tempo inquietudine.