Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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lunedì 28 ottobre 2019

vi serve uno schema?

Tanti hanno necessità di visualizzare il baratro, di capire dentro cosa stanno precipitando. 
Questo può aiutare a comprendere , non solo perché si dà un nome a ciascuna fase, ma soprattutto perché illustra visivamente quello che sostengo (per esperienza diretta) da sempre: Per poter iniziare un percorso di risalita è necessario toccare il fondo.
Scendere a guardare in faccia il dolore, lasciarsi andare a sentire la sofferenza in tutti i suoi più minuscoli dettagli, senza evitarla, senza mettere lo sporco sotto al tappeto.
Non pensiate che il percorso sia lineare come in questo schema. No. Non lo è si fanno passi avanti e si fanno passi indietro. Si ritorna sui propri passi. A volte sembra che niente potrà mai più cambiare. A volte ci sembrerà di rassegnarci al fatto che la nostra vita, da quel momento in poi possa essere solo il vuoto di quella terribile assenza.
Datevi il tempo, datevi tutto il tempo che serve. E amatevi, ricordate di amarvi.



lunedì 14 ottobre 2019

VOI CREDETE DI ESSERE ETERNI


Non siamo soli, ce lo ricordano continuamente.
Non siamo soli, ci stanno vicini, e quando trovano un'antenna capace di ricevere i loro messaggi ce lo dicono con parole chiare e amorevoli

canalizzazione del 16 NOVEMBRE 2018 - VOI CREDETE DI ESSERE ETERNI
 
Voi credete di essere eterni e infatti vi comportate come esseri eterni. Ma sbagliate quando pensate che l'eternità sia legata al vostro corpo. Alla vostra carne, ai vostri muscoli, al vostro cervello. In altre parole al vostro attuale contenitore.
Contenitore, per voi che credete erroneamente di albergare in quella flaccida o solida struttura molecolare che ha una pompa che chiamate cuore.
Tu lo sai, ma a volte fingi di dimenticarlo, a volte te ne ricordi con stupore e con sgomento. Non sei quello che lo specchio ti rimanda come tua immagine. Sei molto di più, sei ben altro.
Perché vi ostinate così tanto a rimanere ancorati, ingabbiati in quel contenitore?
Perché avete paura!
Avete paura di ciò che adesso non ricordate,  non vedete con chiarezza come quando eravate pura energia.
L'energia non ha bisogno di vaccini, l'energia non ha il Parkinson  l'energia ha bisogno di un diverso tipo di manutenzione.
Manutenzione che si chiama amore. Progredire nell'amore.
L'amore è anche comunicazione. Scambio. Interconnessione.
L'amore è dilatarsi senza falsi, immaginari, confini.
Il nostro concetto di Amore è molto più ampio di quello che avete voi.
Ti ricordi l'esempio in quel libro: "l'amore marmellata"? Allora ti fu chiaro. [ndr: si riferisce ai libri del francese M. Quoist indirizzati agli adolescenti dove è fatto questo esempio: "J'aime la marmelade" e "je t'aime" utilizzano lo stesso verbo, ma il primo è funzionale solo a se stessi, mentre l'altro prevede anche il donare se stessi]
Voi, adesso, è come se aveste un concetto limitato di amore, come appunto avevano quelli che si fermavano a "l'amore marmellata".
L'energia propulsa da quello che noi qui chiamiamo Amore è la forma di energia più potente, più sviluppata dell'universo.
Potreste immaginarlo come il propulsore eccellente, dove non c'è spreco di energia. Dove tutto viene trasformato in energia.
Vi affannate con gli atomi, i quanti, i neuroni, vi affannate quando appena state balbettando le prime parole.
Proviamo così tanta tenerezza osservandovi, proviamo così tanto amore per voi che avete scelto di fare questa esperienza in una materia densa e pesante. Siete esploratori di voi stessi. Vi state arricchendo e tornerete arricchiti, pronti alle vostre nuove esperienze.
Voi siete gli esploratori, siete quelli che hanno scelto di avere il cuore in due luoghi: qui con noi a casa e lì nel mondo della materia.
Quanto vi amiamo per la vostra scelta! Siamo come una equipe, noi qui a sostenervi, voi lì a camminare, a fare quei passi a volte così faticosi.
Vorremmo darvi indicazioni per alleggerire quei passi.
Lasciate andare. Siate meno attaccati a quella materia in cui siete immersi.
A volte la percepite come l'unica vostra ancora di salvezza, e non vedete che invece di un’ancora saldamente agganciata è solo un macigno che vi trascina con il suo peso. Un macigno che vi appesantisce, che non vi può rendere liberi. Mai.
La libertà, la vostra libertà è nel lasciar andare. O meglio nel saper lasciar andare.
Imparate a farvi delle domande aperte. Non fermatevi al SI e al NO. Esplorate le altre possibilità. Quelle che non vedete immediatamente.
Esplorate. Per lasciare andare consapevolmente. Per scegliere di lasciare andare è necessario ascoltare, vedere con nuovi occhi. Uscire dalla corazza che è diventata troppo stretta per indossarne una nuova. Appena confezionata con le nuove misure.
Osserva quell’insetto che con dolore, ma anche con sollievo, si libera dal vecchio esoscheletro per generarne uno nuovo.
Così dovete fare voi, figli cari, dovete avere il coraggio di abbandonare il conosciuto per costruire nuove conoscenze. Per procedere.
Non pensate solo alle piccole cose, non pensate solo alle grandi cose.
Reimparate l'ascolto e l'osservazione, imparate ad esaminare e ad elaborare ciò che state fagocitando.
Sputate, vomitate quello che vi appesantisce. siate leggeri e potrete imparare ad essere liberi. Siate leggeri nel bagaglio.
Il bagaglio contenga ciò che è veramente importante. Ciò che è importante non appesantisce, anzi alleggerisce perché consente di valutare meglio ciò che deve essere lasciato sul ciglio della strada.
Non distruggete ciò che a voi non è più utile, servirà, sarà utile ad altri che passeranno da quello stesso ciglio di strada. Abbiate il rispetto, non deridete chi diversamente da voi non sa indossare la camicia che avete appena lasciato.
Vi manca comprensione, vi manca empatia, vi manca compassione.
Vi mancano? Esaminatevi serenamente. Non vi stiamo condannando per ciò che vi manca, vi stiamo invitando a comprendere, a saper guardare.

[da "la Medianità a supporto del lutto" dicembre 2018 - tutti i diritti riservati]

venerdì 4 ottobre 2019

La verità nel lutto

Mi chiedo più o meno spesso a che punto sono della mia vita. Probabilmente queste son domande che impariamo a farci solo se ci soffermiamo a pensare il senso del nostro attraversare questi spazi e questi tempi.
Domande che prima (prima dello stravolgimento  della mia esistenza) non mi facevo.
Per cercare una risposta devo gettare lo sguardo non solo a chi sono adesso, ma anche a come ci sono arrivata, a chi ero.
La memoria da sola non basta perché la memoria è selettiva, per nostra fortuna!
Così talvolta, un po' saltellando di qui e di là,  riguardo vecchie foto, rileggo lettere e scritti.
Mi è tornato davanti questo, e mi son chiesta come lo avrei scritto oggi.
Beh lo riscriverei esattamente così

Vivere appieno l'esperienza del distacco, dare verità al dolore
"Ma non solo: la collocazione dell'urna in un luogo diverso dalla casa nella quale il defunto viveva, consente ai congiunti di vivere appieno l'esperienza del distacco. Di dare verità al dolore, senza che l'affetto per il defunto venga meno".
Ho estrapolato questa frase da un discorso più ampio.
L'ho estrapolata perché mi ha colpito la raccomandazione sul vivere appieno l'esperienza del distacco. Ossia il lasciar andare.
Che è molto difficile faticoso, che non ci è "naturale". Il bambino piange quando il genitore esce dal suo campo visivo, il gioco del cucù serve proprio a tranquillizzare il bambino, dandogli la possibilità di realizzare che, anche se non la vede in quel momento, la madre è comunque presente.
Lasciar andare. Ero nella camera ardente di mia mamma quando la vidi in piedi, con una mano appoggiata alla sua bara, raddrizzarsi e dirmi "lasciami andare".
Lasciar andare significava non solo non trattenerla, ma (l'ho capito purtroppo solo più tardi) proseguire nella mia vita, senza bloccarmi su quello che non c'era più, sul dolore per una morte che era nelle leggi della natura. Senza cristallizzare il dolore. Dando cioè verità al dolore.
Finché siamo in questa dimensione dobbiamo viverci dentro, proseguire il percorso. Anche se decidiamo di bloccarci in attesa della nostra morte, sperando ardentemente che ci sia risparmiato il dover riaprire gli occhi domattina (quando è morto mio marito lo avevo deciso), anche se è questo il nostro più grande desiderio, nonostante noi stessi andiamo avanti.
Sta a noi scegliere il come procedere, ma è impossibile evitarlo.
Non si dimentica, non si può dimenticare. Non si può far finta che sia tutto come prima, non lo è: lui non è più accanto a noi in questa dimensione (anche se più spesso di quanto si creda lo possiamo sentire e possiamo comunicare).
Sta a noi scoprire come ci ha cambiati questa morte, scoprire, per quanto possibile, il senso di questo lutto, e con questa consapevolezza continuare la vita su questa terra, vita che ha un senso, anche se a volte sembra del tutto priva di senso ai nostri occhi umani.
Il dolore rimarrà sempre, come la mancanza, come il senso di ingiustizia e anche la rabbia perché ci è stato tolto quello che pensavamo di avere per sempre, quello che invece altri hanno e disprezzano.
Rimangono, ma rimangono con una nuova consapevolezza di noi stessi.
E per voi come è? cosa provate leggendo queste parole?

lunedì 30 settembre 2019

La morte nella società moderna


Non si è mai preparati alla dipartita delle persone, soprattutto di quelli più vicini a noi. E’ una frase scontata. È scontata perché nella società moderna manca la cultura della morte, manca la voglia di condividere il ricordo di chi non c’è più. Manca il far sì che chi è passato nell’oltre continui a far parte della nostra vita, della vita della famiglia, come invece una volta accadeva.

Nell’antica Roma vi era il culto dei Lari, in alcune società arcaiche i propri defunti venivano inumati sotto il pavimento della propria abitazione. Erano modi per testimoniare che la presenza continuava e che continuava all’interno della famiglia.

E’ ormai a conoscenza di tutti il culto dei morti nell’antico Egitto, dove chi era ricco e potente iniziava senza tristezza e senza scongiuri  a pensare alla propria morte, al viaggio che lo attendeva verso il regno dei morti, fin da giovane.

Nella società attuale invece la morte non fa più parte della vita, è qualcosa di cui è fastidioso parlare, che mette in imbarazzo. Le persone non in lutto cercano sempre e prontamente di cambiare discorso; lo fanno perché sono incapaci di rapportarsi con chi è in lutto, perché prima di tutto non sanno rapportarsi con la morte.

La morte fa paura soprattutto perché non la si conosce, perché viene da molti considerata semplicemente come la fine di tutto. La fine dell’esistenza. La fine della propria esistenza. Oppure, se va bene, per chi crede in una fede religiosa che stabilisce l’esistenza di una vita ultraterrena, la morte è percepita come il passaggio in un mondo sconosciuto e ubicato in un luogo lontanissimo, la morte è quel passaggio che sancisce il recidersi ti tutti i legami, sancisce che la persona scomparsa non sarà più in alcuna relazione con il mondo dei vivi. Sarà in un altrove più o meno paradisiaco inimmaginabile, irraggiungibile, distante da tutto e da tutti. Da cui non si torna indietro.

E questo ovviamente fa paura.

Come fa paura l’ineluttabilità della morte in un mondo dove tutti si preparano vie di uscita, piani di riserva e scappatoie a tutto: “Se non mi piace torno indietro”, “Provo a dar l’esame, se va male ritento”, “Mi sposo, tanto c’è il divorzio, anzi neppure mi sposo, convivo, che è meno impegnativo in caso di rottura”.

Quindi un luogo, uno stato, dal quale non c’è più ritorno, fa paura. Terrorizza la maggior parte delle persone del nostro mondo occidentale e materialistico.

Così teniamo esseri umani clinicamente morti attaccati come vegetali a delle macchine, pur di non lasciarli andare. O meglio: pur di non accompagnarli all’inizio della loro nuova vita “invisibile ai nostri occhi”.

Tutto questo ci fa capire che siamo molto meno consueti alla morte, e quindi alla vita dopo la morte, di quanto lo fossero i nostri antenati, e di quanto lo sono altre culture ritenute più primitive della nostra.

E tutto questo fa sì che l’essere umano precipiti nel baratro della disperazione quando qualcuno a cui tiene molto muore.


[da "la Medianità a supporto del lutto" dicembre 2018 - tutti i diritti riservati]

E per voi la morte cos'è?