Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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lunedì 15 luglio 2013

Pelle sottile come cartavelina

È facile ferirci. Il lutto ci rende fragili, vulnerabili, ci ha assottigliato la pelle. 
"Vengo a trovarti' starò da te al mare un paio di giorni".
È dura stare qui. Da sola. Sola con i ricordi delle estati passati, quelle in cui mi prendevo cura di loro. Sono morti tutti.
Così mi attacco a tutto quello che potrebbe riempire in qualche modo questi vuoti, questo silenzio rotto solo dal miagolio di un gatto di passaggio che mi chiede cibo.
Metto a posto la bici che Pablo aveva sistemato per sé. La rendo utilizzabile dalla mia futura ospite. Le lacrime e il sudore si mescolano. Non ce la faccio a sopportare la vita, non ce la faccio a vedere le vite degli altri e la mia non vita. Non ce la faccio più.
Mi aggrappo con le unghie alle piccole cose, alla promessa di una visita che sollevi un attimo  questa vischiosa nebbia di solitudine, di dolore.
"Sono in aeroporto, non vengo più a trovarti".
Anche il gatto, con la pancia piena, se ne è andato.

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