Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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sabato 17 agosto 2013

Sconclusionata

Faccio la spesa e poi non cucino, mangio quando me ne ricordo, perché sento i crampi dello stomaco che reclama il cibo. Rosicchio, neppure mi apparecchio, neppure mi siedo a tavola. Butto via il cibo che parcheggiato nel frigo alla fine va a male e puzza.
Strappo le erbacce e le zanzare tigre mi si appiccicano addosso, mille vampiri che dovrei sterminare. Pablo le odiava, si era procurato il necessario per bonificare il giardino. Io mi lascio andare, le schiaccio, ho le braccia e le gambe con i grumi del mio sangue e i loro corpi spiaccicati, una poltiglia nera e rossa.
Devo fare i fori nel muro, mi sono portata dietro il trapano più volte per farli. Avevamo comprato insieme la barra di acciaio per la cucina. L'avevamo comprata d'autunno e la scorsa estate avremmo dovuto montarla,  avremmo aspettato il momento in cui Pablo non fosse stato troppo male, ci voleva una serie di giornate secche, ventilate, non troppo calde per fargli trovare quel po' di energie necessarie per fare il lavoro. Non era mai facile vivere normalmente, come fanno milioni di famiglie senza neppure apprezzare la fortuna che hanno. Per noi tutto era diventato più complicato che per gli altri, quelli fortunati e inconsapevoli della loro fortuna.
Dovrei fare quei fori, dovrei montare quell'aggeggio che avevamo comprato insieme. Ma mi fa troppo male. Sto troppo male. Mi racconto fandonie, compro ganci a accessori per quell'aggeggio e li parcheggio. Li parcheggio in attesa di andarmene anche io

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