Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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venerdì 8 febbraio 2013

Venerdì. il vuoto che taglia il respiro

Ho cercato di non scrivere.
Ho cercato di fare lo struzzo?
Forse.
Ma puntuale insieme con le prime ore del fine settimana arriva l'angoscia che mi attanaglia l'anima.
Cerco appiglio in qualche telefonata, uso un tono leggero, sono maestra nel nascondere, piango e mi dispero solo quando nessuno può sentirmi. Non voglio disturbare nessuno.
Chi mi risponde di là ha la sua vita, i suoi impegni la sua famiglia.
Chiudo rapidamente per non essere di peso, per non portare via tempo.
Ho un urlo soffocato nella gola e nella testa.
Invoco il nome di chi non ha più voce per rispondermi, dita per sfiorarmi, occhi per guardarmi, occhi da guardare.
Pablo, ti prego, portami via. Ti prego, non voglio stare qui, io non ce la faccio più a dover vivere.
Pablo.

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