Non si è mai preparati alla dipartita delle persone, soprattutto di quelli più vicini a noi. E’ una frase scontata. È scontata perché nella società moderna manca la cultura della morte, manca la voglia di condividere il ricordo di chi non c’è più. Manca il far sì che chi è passato nell’oltre continui a far parte della nostra vita, della vita della famiglia, come invece una volta accadeva.
Nell’antica Roma vi era il culto dei Lari, in alcune società arcaiche i propri defunti venivano inumati sotto il pavimento della propria abitazione. Erano modi per testimoniare che la presenza continuava e che continuava all’interno della famiglia.
E’ ormai a conoscenza di tutti il culto dei morti nell’antico Egitto, dove chi era ricco e potente iniziava senza tristezza e senza scongiuri a pensare alla propria morte, al viaggio che lo attendeva verso il regno dei morti, fin da giovane.
Nella società attuale invece la morte non fa più parte della vita, è qualcosa di cui è fastidioso parlare, che mette in imbarazzo. Le persone non in lutto cercano sempre e prontamente di cambiare discorso; lo fanno perché sono incapaci di rapportarsi con chi è in lutto, perché prima di tutto non sanno rapportarsi con la morte.
La morte fa paura soprattutto perché non la si conosce, perché viene da molti considerata semplicemente come la fine di tutto. La fine dell’esistenza. La fine della propria esistenza. Oppure, se va bene, per chi crede in una fede religiosa che stabilisce l’esistenza di una vita ultraterrena, la morte è percepita come il passaggio in un mondo sconosciuto e ubicato in un luogo lontanissimo, la morte è quel passaggio che sancisce il recidersi ti tutti i legami, sancisce che la persona scomparsa non sarà più in alcuna relazione con il mondo dei vivi. Sarà in un altrove più o meno paradisiaco inimmaginabile, irraggiungibile, distante da tutto e da tutti. Da cui non si torna indietro.
E questo ovviamente fa paura.
Come fa paura l’ineluttabilità della morte in un mondo dove tutti si preparano vie di uscita, piani di riserva e scappatoie a tutto: “Se non mi piace torno indietro”, “Provo a dar l’esame, se va male ritento”, “Mi sposo, tanto c’è il divorzio, anzi neppure mi sposo, convivo, che è meno impegnativo in caso di rottura”.
Quindi un luogo, uno stato, dal quale non c’è più ritorno, fa paura. Terrorizza la maggior parte delle persone del nostro mondo occidentale e materialistico.
Così teniamo esseri umani clinicamente morti attaccati come vegetali a delle macchine, pur di non lasciarli andare. O meglio: pur di non accompagnarli all’inizio della loro nuova vita “invisibile ai nostri occhi”.
Tutto questo ci fa capire che siamo molto meno consueti alla morte, e quindi alla vita dopo la morte, di quanto lo fossero i nostri antenati, e di quanto lo sono altre culture ritenute più primitive della nostra.
E tutto questo fa sì che l’essere umano precipiti nel baratro della disperazione quando qualcuno a cui tiene molto muore.
[da "la Medianità a supporto del lutto" dicembre 2018 - tutti i diritti riservati]
E per voi la morte cos'è?
E per voi la morte cos'è?