Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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sabato 7 giugno 2014

Complicità

Anche stavolta sono partita con ore e ore di ritardo. Svogliata.
Partenza come fuga. Fuga che non può riuscire. Fuga da me stessa, dal mio dolore, dal mio malessere per la tua precocissima morte. Fuga. 
Come una pallina in un flipper: puoi darle botte sempre più violente, o sempre più carezzevoli, sempre in buca andrà a finire.
Sono arrivata, il viaggio è finito. Sono stanca. Ma ora che faccio? Ho già nella testa il rimbombo: "sei rimasta sola. È morto. È morto. È morto" 
Mi sono fermata a mangiare un panino. Guardavo con invidia quelle macchine con targa straniera in vacanza. Lui e lei, qualche anno più di me, in vacanza insieme. Complici, solidali, cercavano di ordinare un caffè a una cameriera che non aveva voglia di sforzarsi a comprendere la loro buffa richiesta. Lo sguardo sollevato di intesa tra i due una volta ottenuto il caffè mi ha fatto salire le lacrime agli occhi. Io non potrò più scambiarlo quello sguardo.  Il mio complice è morto. Il mio amorcito è morto.

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