Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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mercoledì 28 novembre 2012

La domanda mai posta

mentre sono seduta su quelle scomode seggioline da scuola, guardo le persone sedute in cerchio accanto a me e confronto il mio lutto con il loro, il mio stare con il loro stare.
Avrei tanto bisogno di trovare una situazione analoga alla mia per potermici rapportare.
Ma chi ha perso il marito ha ancora i genitori, oppure ha i figli, oppure è parecchio più giovane di me e quindi ha aspettative ben diverse dalle mie.
La domanda che vorrei fare è "Ma voi desiderate morire tanto quanto lo desidero io? Lo avete mai desiderato davvero?"
Non la faccio perché non ho voglia di sorbirmi le lezioncine di O.
Ma è forse una delle poche cose che vorrei davvero sapere.
Non la faccio perché forse dentro di me conosco già la risposta: nessuno di loro è davvero pronto a morire.
Vogliono vivere.
Chi ha figli da crescere.
Chi ha genitori di cui prendersi cura.
Chi ha sé stesso di cui prendersi cura.
Hanno ragione loro, ma io non ho più voglia di niente.

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