Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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lunedì 8 ottobre 2012

Mangiare in piedi come i cavalli

E' lunedì. Esco dal torpore, dal silenzio di un fine settimana segnato, come tutti gli altri,  dalla mancanza assordante di Pablo , dalla solitudine, dal silenzio, dalla rabbia e dal dolore.
E torno a far finta di vivere. Devo farlo, dato che lavoro in un ufficio.
Il lavoro. Per fortuna che c'è il lavoro che mi obbliga ad alzarmi dal letto, a lavarmi e a vestirmi, a  uscire di casa.  Per fortuna che c'è il lavoro che mi obbliga  a  relazionarmi con le altre persone, che mi obbliga a pensare ad altro, che mi obbliga a mangiare seduta a tavola un pasto decente, caldo e completo in compagnia di altre persone. Forse gli altri neppure si rendono conto di quanto è importante per me mangiare seduta a un tavolo in loro compagnia.
Alessandra, una mia amica di tanti anni fa mi raccontava che a casa non si sedeva più per mangiare. "Mangio in piedi come i cavalli" mi disse con una saetta che le attraversò lo sguardo. Era rimasta vedova a 34 anni, anche lei, come me, senza figli.
All'epoca mi parve una cosa assurda. Ora la capisco bene, fin troppo bene.
Rimango in ufficio il più a lungo possibile. Rimando più che posso il ritorno in una casa vuota, silenziosa.
Ma alla fine devo tornarci, alla fine devo fare i conti con il vuoto che ho dentro e con quello che ho intorno.

Dio, ti prego fammi morire ADESSO, ti prego.

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