Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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giovedì 11 ottobre 2012

Sola in pronto soccorso

E' una giornata difficile.
Ieri al pronto soccorso, attraversando un corridoio con i pazienti sulle barelle ho avuto il flash di tutte le volte che ho visto Pablo in un pronto soccorso sdraiato su una barella.
Ho rivissuto in un istante tutte quelle attese, tutte quelle sofferenze. La pazienza enorme di Pablo, il suo sangue freddo, la sua competenza nel parlare con i medici che di volta in volta lo vedevano. L'incompetenza di alcuni di questi, la loro arroganza, chiusi nelle loro certezze, incapaci di mettersi in dubbio, incapaci di riconoscere che non sapevano. L'umanità e la disponibilità di altri.
La consuetidine con la sofferenza e la morte rende cinici? rende incapaci di vedere l'essere umano che si ha davanti? Talvolta, o forse molto spesso.

Ieri in quel pronto soccorso, da sola, c'ero per me.
E quell'essere lì da sola, ieri, come anche anche oggi, mi ha schiacciata.
Sola. Ero lì per un intervento. Pablo mi avrebbe sicuramente accompagnata, accudita, tenuta d'occhio. Premuroso.
Non può più accompagnarmi, non può più prendersi cura di me.
Non c'è più.
Oggi ho guardato molti album di foto, ho pianto. Sto piangendo.
Pablo non è più accanto a me, non scherza più con me. Non fa più il cretino per me. Mi guarda sorridente dalle cornici con cui sto riempiendo la casa. Ma non potrà più abbracciarmi. Non potrò mai più sedermi al posto del passeggero con lui alla guida.
Mi ha lasciata sola. Irrimediabilmente.
Voglio andare da lui.
Non ce la faccio a stare da questa parte, da sola.

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