Non leggete questo blog

Non leggete quello che scrivo se non siete disposti ad accettare che il dolore esiste, che il dolore è qui e che rischia di sfiorarvi e forse di travolgervi.

Non leggetelo se non siete disposti a tacere.
Non ditemi mai "non DEVI fare così, non DEVI dire questo" .
Che ne sapete voi di quello che ho dentro? Che ne sapete voi di cosa vuol dire doversi alzare dal letto ogni mattina per affrontare il vuoto, il lutto, la mancanza irrimediabile?

Non leggetelo se siete convinti che la vita sia solo rose e fiori e non volete vedere il nero.

Non leggetelo se volete solo distrarvi.

Non leggete le mie parole se pensate di dirmi "la vita va avanti, devi vivere per te".

Qui vi troverete sbattuto in faccia il dolore soffocante, quello che impedisce di respirare.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il desiderio impellente, disperato, di morire per smettere di soffrire.
Qui vi troverete sbattuto in faccia il lutto cupo, devastante. Quello che impedisce di indossare i colori, non perché sia una convenzione sociale, ma perché il corpo li respinge, perchè il corpo può accettare solo il nero, il grigio e il bianco.

Qui vi troverete sbattuta in faccia tutta la mia rabbia per l'ingiustizia di questa morte. Per quello che non gli è stato concesso. Per quello che ci è stato tolto.

Non leggetemi se non siete disposti alla pietas, al cordoglio. Quelli veri.

Tutto questo che avete appena letto l'ho scritto nei primi anni del lutto, quando c'erano solo sofferenza, mancanza, rabbia. Adesso, attraverso un complesso e articolato percorso di elaborazione, di maturazione e di crescita personale, il manifesto è da aggiornare: Non leggete se credete che chi è morto è sparito o non esiste più , non leggete se pensate che chi amate vi abbia abbandonato, non leggete se non siete capaci di aprire la mente anche a ciò che non conoscete. Non leggete se non volete vivere pienamente la vostra nuova vita, quella dopo il lutto.
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mercoledì 17 ottobre 2012

Sette mesi e 17 giorni di sofferenza.

Pablo è morto il 29 di febbraio. Da quel giorno la mia vita è cessata.
17 giorni frenetici in Argentina per riportarlo a casa, per separarci dai ricordi della sua famiglia, della sua vita lì. Per dire addio per sempre a quello che erano.
Io unica custode di ciò che rimane. Un peso che mi soffoca.
Poi il secondo funerale in Italia. L'apertura della tomba, il cemento fresco su cui ho scritto io il suo nome e ho disegnato un cuoricino.
Poi la sua casa di Mantova, quella che aveva mantenuto tutti questi anni, ma dove ormai neppure più dormiva quando andava là. Ho dovuto smontare pezzo per pezzo, da sola, quella casa.
Completamente sola a parte due giorni in cui la mia amica  P. mi aveva dato una mano a separare i documenti.
Quintali di documenti di carte che ho letto una per una fino a scremare per conservare, per portare qui con me i ricordi, le cose di lui.
Mi è passata per le mani tutta vita di Pablo. Tutto quello che non avrebbe mai più potuto essere.
Con amore, con infinita tristezza ho preso in mano ciascuna cosa cercandovi dentro Pablo.
Chiudere quella casa il 1 luglio mi ha ucciso. Sono crollata in quel momento.
Nessun essere umano dovrebbe essere chiamato a fare quello che è toccato fare a me.
A nessuno dovrebbe toccare tutta questa infinita sofferenza. Nessuno dovrebbe essere lasciato solo come lo sono io. A nessuno.
 "Se hai bisogno vengo" dicevano, ma alla fine pochissimi e per poco tempo sono venuti. E gli altri dove erano?  Pudore? incapacità di comprendere? pigrizia?
E' vero, io non chiedo. Lo faccio molto raramente
Non aspettate che uno nella mia situazioni vi chiami. Andate voi da lui. siateci davvero, non solo a parole.Siate veramente presenti, non solo a parole. La fisicità è importante. A volte una telefonata è come una mano tesa.

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